Lo spaccone, Iris, 23,01.
Nel 1961 era ancora possibile costruire un film mirabile e di forte impatto sul biliardo, oggi chi mai ci riuscirebbe? Un film, Lo spaccone, che appartiene al cinema americano più realista e linguisticamente impegnato, quello che sta lontano dalle bellurie e dal glamour hollywoodiani e preferisce vedersela con storie amare, ambienti marginali e periferici, caratteri di perdenti, anime bacate. Cinema che tra anni e Cinquanta e Sessanta trovò autori, registi, attori di livello alto come Elia Kazan. O come Robert Rossen, che già aveva realizzato il possente Tutti gli uomini del re e che con questo Spaccone firma un altro film assoluto, da storia del cinema, grazie anche alla presenza di un Paul Newman al suo vertice. Eddie è un campione di biliardo, però minato da un malessere esistenziale che lo fa deragliare. Una sfida dopo l’altra, vittorie e sconfitte, un amore con una ragazza segnata dalla pioliomelite (una grandissima Piper Laurie, attrice sottovalutata). Fino alla sfida di tutte le sfide, la sfida della vita, come ogni film americano sullo sport, su qualsiasi sport – dalla boxe al baseball – esige. Il sogno americano rivoltato e mostrato in tutte le sue ombre. Film ormai leggendario. Nel 1986 arriverà il sequel girato da Martin Scorsese, Il colore dei soldi, con un Paul Newman invecchiato che insegna i segreti del biliardo al giovane Tom Cruise. Ma non sarà la stessa cosa.
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