An Episode in the Life of an Iron Picker (Epizoda u zivotu beraca zeljeza), regia di Danis Tanovic. Con Senada Alimanovic, Nazif Mujic, Sandra Mujic, Semsa Mujic. Bosnia. In Competizione.
Odissea di una famiglia rom bosniaca. Senada ha bisogno di un intervento medico urgente, ma lei e il marito non hanno assicurazione sanitaria, e nemmeno soldi. Porte dell’ospedale sprangate. Nazif incomincia la sua corsa per salvare la moglie. Una storia semplice, primaria, universale. Il regista Danis Tanovic, quello di No Man’s Land, evita le secche dell’ideologismo e del miserabilismo, e ci consegna un film importante. Voto 7+
Dopo No Man’s Land, film sulla guerra a Sarajevo che gli aveva pocurato un Oscar, il bosniaco Danis Tanovic si era un po’ perso. Torna adessso alla Berlinale con un film molto, molto buono, che si colloca tra i naturali candidati al premio maggiore. Una di quelle storie di miseria, vite derelitte, stracci, orizzonti soffocanti, speranze perdute, che ogni tanto emergono nei magmatici programmi dei vari festival e costituiscono ormai un genere abbastanza codificato, un genere che ha nei fratelli Dardenne (e negli inglesi Ken Loach e Mike Leigh) i genitori illustri. Neo-neorealismo lo si è chiamato qualche volta, non sbagliando. Di solito trovo questi film nobili nelle intenzioni, ma piatti e poco interessanti cinematograficamente, prevedibili e sempre a rischio di trasformarsi in petizioni ideologiche. Il miserabilismo e gli stracci non è detto che automaticamente portino al capolavoro, anzi molto più spesso portano alla maniera e alla retorica, alla compunzione virtuosa e insopportabile. Ma questo film di Danis Tanovic, pur inserendosi in pieno nel rigoglioso filone, emana un senso di verità e ti comunica un disagio che fatichi a toglierti di dosso. Per accentuare il realismo, muovendosi su quella frontiera ormai trafficatissima dai cineasti che sta tra documento e fictionalizzazione, racconta qualche giorno di una famiglia di rom della Bosnia-Erzegovina mantenendone rigorosamente i veri nomi (marito, moglie e le loro due bambine), muovendosi nella loro casa e nella loro comunità. Nazif, buon padre e buon marito, campa e mantiene i suoi recuperando e riciclando materiali ferrosi di discariche, demolendo macchine. Abita in una baracca, all’interno di un insediamento rom, in uno sperduto villaggio bosniaco di fango, neve e ghiaccio.
Un giorno la moglie, Senada, ha un aborto spontaneo, perde sangue, sta molto male.Nazif la porta subito in ospedale. È urgente un raschiamento, altrimenti si rischia la setticemia e la morte, ma Nazif non ha un’assicurazione sanitaria, e non ha i soldi per pagare l’intervento. Niente da fare, Nazif e Senada vengono buttati fuori. Incomincia l’odissea, la ricerca dei soldi. Ma neppure l’associazione di aiuto ai Rom trova il denaro. La soluzione arriva con un trucco, una piccola truffa. Senada si spaccia per la cognata e riesce a farsi operare con la sua tessera sanitaria. Ora, una parabola così esemplare della povertà vecchia e nuova, della povertà di sempre, di cosa significhi essere gli ultimi e gli esclusi, era fortemente a rischio di didascalismo, populismo, indignazione moralistica. Invece Tanovic evita tutti questi scogli, e lo fa stando addosso con la sua camera mobile ai suoi personaggi (fino a che punto personaggi?) a catturarne le paure, estraendone la sofferenza, la rabbia, la rassegnazione, riuscendo a trasmetterci, semplicemente, un senso di vero. Soprattutto, non lascia buchi nella narrazione, tutto è essenziale, necessario, la storia si svolge fluida, ogni gesto, ogni parola ci appaiono naturali. Vita rubata, come non accade tanto spesso di vedere al cinema, nonostante siano in molti a provarci. Viene in mente Rossellini, la sua capacità di situarsi al livello degli essere umani raccontati, di sintonizzarsi quasi sul loro respiro, e anche De Sica. Alla fine uno degli applausi più convinti di questa Berlinale. An Episode in the Life of an Iron Picker si candida all’Orso d’oro insieme agli altri due favoriti, il cileno Gloria e l’iraniano Closed Curtain. Anche possibile premio come migliore attore a Nazif Mujic, indimenticabile quale uomo mite e onesto che lotta fino allo stremo per la sua famiglia, e che ci fa capire cosa sia, e come sia necessario, un padre. Una di quelle storie semplici e universali, alla Ladri di biciclette per capirci, che faranno il giro del mondo. Certo, un dubbio ce l’ho: ma davvero in Bosnia se non hai i soldi ti lasciano lì a morire? Qualcuno informato dei fatti mi sappia dire. Grazie.
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