Il nastro bianco, Rai 5, ore 23,19.
Fino al recente Amour, oscarizzato come migliore film straniero, era questo il film più celebrato e premiato di Michael Haneke, e quello della sua definitiva consacrazione. Palma d’oro a Cannes 2009, per meriti propri ma un po’ anche perché a presiedere la giuria c’era un’attrice-feticcio del regista austriaco, Isabelle Huppert (che con lui aveva girato La pianista e Il tempo dei lupi). Lo dico subito: non è a mio parere il miglior film di Haneke, e trovo che sia piuttosto sopravvalutato. Il che non toglie che si tratti di un’opera di tutto rispetto, e che una visione e una ri-visioni se li meriti ampiamente. Inquietante come si conviene ad Haneke e al suo cinema della minaccia, ma un po’ troppo capolavoro annunciato, con il bianco e nero che vuole esplicitamente rifare quello dei grandi maestri, da Fritz Lang a Ingmar Bergman a Carl Theodor Dreyer. In particolare il riferimento è a questi ultimi due. Il lugubre vilaggio luterano della Germania nordica e prussiano-baltica del primo Novecento ci riporta subito, visivamente, ai climi cupi di Ordet, di Luci d’inverno, perfino di Dies Irae e Il settimo sigillo. E poi una certa qual fissità ieratica, la recitazione stilizzata, la maniacalità formale, elementi che rischiano di far scivolare Il nastro bianco verso pericolose derive arty. Ulteriore elemento discutibile, quel richiamo finale al nazismo che verrà come chiave esplicativa dei terribili fatti raccontati: troppo semplice imputare ogni nefandezza all’animus teutonico che sarebbe già geneticamente predisposto all’abiezione hitleriana. Ma al netto di questi limiti, Il nastro bianco (quello che i bambini secondo il pastore del villaggio dovrebbero indossare come simbolo della propria purezza) resta un film di rara potenza e suggestione. Succedono fatti strani, misteriosi incidenti, il primo è al medico, che si frattura la gamba cadendo da cavallo a causa di un filo invisibile teso da qualcuno tra gli alberi. Emergono intanto le pubbliche virtù e i vizi privati in seno alla piccola comunità, e un gruppo di bambini minacciosi e sinistri si coagula e si compatta davanti ai nostri occhi, e il Male ancora una volta si incarna nelle sembianze dell’innocenza. Finale ambiguo, aperto, e predica del tipo “signori miei, è così che è nato il demone del nazismo”. Troppo facile e sentenzioso, Herr Haneke. Che però anche stavolta è riuscito a farci venire i brividi.
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