Gomorra, Rai Movie, ore 21,05.
Matteo Garrone è riuscito nella quasi impossibile impresa di cavare dalla celeberrima cronaca-romanzo di Roberto Saviano un film di altrettanza potenza, pur senza ricalcare pedissequamente l’originale e anzi reinventandolo con grande libertà e stile assai personale. Lo stile è quello che Garrone ci aveva già mostrato nel suo precedente, livido e anche morboso e sordido, eppure bellissimo L’imbalsamatore: più ombre e penombre che luce piena, personaggi colmi di sfrenati desideri e privi di ogni barlume morale, corpi mostrati con una cupezza che non è esagerato dire caravaggesca, il laido e il mostruoso che trapelano dalla quotidianità e la inquinano irrimediabilmente. E il senso del paesaggio, sempre corrusco, nuvoloso, nebbioso, percosso da tempeste mefitiche, percorso da miasmi. In Gomorra il regista dilata la Campania camorristica di L’imbalsamatore, la potenzia, ne moltiplica brutralità e sgradevolezze. Le storie si incrociano come in un Altman, in un Iñarritu, qualche volta si intersecano, e sono sempre storie di abiezione scelta o subita. Il ragazzino che si sottopone alla prova di iniziazione camorristica, i due disgraziati adolescenti che credono di fare i duri e verranno stritolati, il re delle discariche abusive e le loro scorie che avvelenano i pascoli delle bufale, spaccio e consumo di droga in ambienti apocalittici, di un degrado oltre e al di sotto di ogni umanità. Le Vele di Scampia, usate da Garrone come location-simbolo, grandiose e sinistre, inferno dei vivi con i loro cunicoli, i reticolati, la divisione del territorio in zone d’influenza. Uno dei pochi grandi film italiani degli ultimi dieci anni, e anche più. Garrone è un cineasta disturbante, il suo è un cinema della sgradevolezza ai limiti dell’insostenibilità, non diversamente da un Haneke. A colpire è l’impassibilità con cui guarda a uomini e cose, lontano, molto lontano dallo sdegno e dall’engagement di Saviano. Garrone ha come vocazione quella di osservare, descrivere, mostrare, non giudicare. Il suo non è cinema etico, è puro sguardo. Il suo maestro può essere Antonioni, certo non va cercato nei padri nobili del cinema civile all’italiana (Rosi, Petri, ecc.). Riesce perfino nel miracolo di non rendere sexy il crimine che mette in scena. I suoi camorristi sono mostri repellenti da cui vorremmo distogliere gli occhi, non hanno niente a che vedere con l’epica glamourizzante e ambigua del coppoliano Padrino. Sarà per questo che Gomorra, gran successo in tutta Europa, in America non è è piaciuto ed è stato un flop al box office, nonostante che a sponsorizzarlo ci fosse Martin Scorsese. Dopo un simile esito, probabilmente il miglior film italiano degli ultimi dieci anni e anche più, c’era da aspettarsi moltissimo da Garrone, invece il suo Reality (2012) è stato una delusione grande.
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