Questa non è una recensione e nemmeno può esserlo. È solo l’opinione che mi sono fatto dopo aver visto trailer, teaser, foto e sinossi.
Il grande Gatsby (in 3D), un film di Baz Luhrmann. Con Leonardo DiCaprio, Carey Mulligan, Tobey Maguire, Joel Edgerton, Isla Fisher.
Del Grande Gatsby si parla da anni ormai e adesso ci siamo. Uscita in America il 10 maggio, prima europea a Cannes il 15, uscita in Italia il 16. Il clima intorno al film è, diciamolo, piuttosto antipatizzante. Sarà una bufala, è l’opinione più benevola che si sente in giro. Non son stati certo d’aiuto i continui rinvii. Doveva uscire l’autunno scorso, poi a Natale, poi è arrivato abbastanza clamorosamente lo stop, e lo slittamento a maggio 2013, il che naturalmente ha subito scatenato rumors e sospetti secondo cui la produzione, non soddisfatta del risultato, avrebbe chiesto a Luhrmann di tornare sul set e rigirare intere scene. Naturalmente la versione ufficiale è ben diversa, i ritardi sarebbero dovuti al perfezionismo maniacale del regista in fase di editing. I trailer (quelli americani sono tre, quelli italiani due) comunque promettono parecchio e lasciano intuire un film assolutamente luhrmanniano, sgargiante, rutilante, neopop, ultraopo, iper pop, eccessivo, sfrenato, incontinente. Un bombardamento visivo, un sommovimento tellurico di immagini al decimo grado, colori e colorazzi, il giallo, l’oro, il rosso. Il tutto potenziato dal 3D. La dimora di Gatsby a Long Island somigliante a un castello bavarese del delirante re Ludwig, mancano solo i cigni, ma la follia scenografica c’è tutta, in un pieno assoluto – e in un horror vacui – al cui confronto un set di Zeffirelli appare bressoniano e morigerato. Tanto, troppo, di più. Inquadrature dal basso, dall’alto, dall’elicottero, dolly scatenati tra orchestrine e esseri danzanti di varia umanità. Champagne, stelle filanti, stelle cadenti, fuochi d’artificio che la festa di Santa Rosalia è un nulla. Luhrmann applica la sua ricetta neobarocca e massimalista già collaudata in Romeo+Juliet e nel capolavoro Moulin Rouge! al romanzo di Francis Scott Fitzgerald, specchio più di ogni altre dei folli anni Venti, la decade postbellica in cui tutto sembrò possibile e la sfrenatezza e il lusso e l’ebbrezza raggiunsero livelli parossistici. Non so quanto a Luhrmann interessi davvero la storia di Gatsby: quel Jay Gatsby che, arricchitosi misteriosamente e molto probabilmente in modo illecito, vuole riconquistare Daisy, la donna che amava e ancora ama, ma che ha sposato un altro. Comprerà una grande villa a Long Island, di fronte alla residenza di lei e del ricco marito, darà feste clamorose nella speranza che lei un giorno arrivi. E Daisy arriverà. Ma niente andrà secondo i desideri di Gatsby. La mia impressione è che ad attirare il regista australiano sia stata soprattutto la cornice, quegli anni Venti davvero folli e ruggenti con i loro eccessi e le loro derive. Probabile che i cultori di Fitzgerald rimarrano delusi, credo che invece non lo sarà chi ha amato Moulin Rouge! e tutti i film-pastiche luhrmanniani, non proprio un trionfo di buon gusto, e tuttavia in grado di fissare un nuovo paradigma nella visione e visionarietà cinematografiche (come ha messo in rilievo il critico Mark Cousins nella sua monumentale A Story of Film: un libro e 15 dvd). Di sicuro questo Gatsby non somiglierà a quello esangue diretto da Jack Clayton nel 1972 con gli ingessatissimi Robert Redford e Mia Farrow, sempre di bianco vestiti e assai sostenuti e sussiegosi. Soundtrack che si annuncia strepitosissimo, curato da quel guru non solo della musica ma della pop culture che è Jay-Z. Naturalmente son pezzi di oggi e di ieri e l’altroieri per nulla contemporanei alla storia raccontata, secondo una tecnica straniante e di sfasamento temporale ampiamente sperimentata da Luhrmann in Moulin Rouge! Ci sono tra gli altri lo stesso Jay-Z, Beyoncé (che rifà Back to Black di Amy Winehouse!), Gotye, Florence & The Machine, Lana Del Rey, c’è la gloriosa Happy Together dei Turtles coverizzata dai Filter, e molti altri, e molto altro. Quaranta abiti femminili disegnati da Prada (ripescati dagli archivi Prada e Miu Miu e rielaborati), quelli maschili sono invece di Brook Brothers. Piccolo mistero: nel sito ufficiale americano alla voce Guide to Style Prada non compare, mentre ci sono, oltre a Brook Brothers, Tiffany, Moët & Chandon, The Plaza. Vorrà dire qualcosa?
Grado di aspettativa: 8 (su 10)
TRAILER INTERNAZIONALE#1
TRAILER INTERNAZIONALE #2
TRAILER INTERNAZIONALE #3
TRAILER ITALIANO
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