20 anni di meno, regia di David Moreau. Con Virginie Efira, Pierre Niney (della Comédie Française), Gilles Cohen, Amélie Glenn, Charles Berling. Francia 2012.
Aline ha 38 anni, un matrimonio alle spalle e un lavoro di redattrice in un fashion magazine. Balthazar ha 20 anni, è uno studente di architettura dall’aria trasognata e lunare. Mondi opposti che finiranno con l’incontrarsi, pur con qualche rischio di collisione e deflagrazione. Una rom-com francese assai godibile, soprattutto quando ci mostra i retroscena del dorato mondo della moda. (E comunque i 20 di differenza tra lei e lui mica si vedono tanto.) Voto 7
Però, che salto di genere per David Moreau, trentaseienne regista francese diventato celebre dopo aver diretto con il collega Xavier Palud un horror cultistico come Them, e adesso approdato, da solo, a questa romantic comedy delle più classiche, anche se rispolverata e velocizzata a uso e consumo delle disincantate venti-trentenni di oggi. Il salto, nonostante le molte perplessità che si potevano avere, è riuscito incredibilmente piuttosto bene, e Moreau mostra di sapersi destreggiare con le schermaglie d’amore e i codici della commedia come aveva fatto con i terrori e il sangue di Them (e poi del remake di The Eye). I vent’anni del titolo – che poi a fare i precisini sarebbero 18 – sono quelli che separano la trentottenne Alice Lantins dal ventenne Balthazar, incontrato per caso su un volo Rio-Parigi e destinato a diventare il suo boyfriend, anzi fiancé, che è roba più seria. Naturalmente prima dello scontatissimo esito ci sarannop baruffe, qui pro quo, liti e riappacificazioni e parecchio altro, perché così vogliono le leggi antiche ma sempre valide della commedia sofisticata a due, e soprattutto così vuole l’archetipo – che anche qui si reincarna per l’ennesima volta – della bisbetica domata. È che lei è donna in carrierissima, oltretutto in un settore ad alta competività e perfidia e velenosità come quello dei glossy magazine di moda, mentre lui è uno studente di architettura un filo sognatore, ironicamente e teneramente romantico, con un che di sospeso e lunare alla Buster Keaton. Mondi opposti, non compatibili, dunque proprio per questo destinati ad attrarsi, pur con qualche rischio di collisione, in una opposizione che, anche questa, è da sempre una delle architravi narrative della rom-com. Aline ha un ex marito piacione e puttaniere e una figlia dodicenne che non le perdona niente, Balthazar (che bel nome da aristocrazia francese) un padre incalito e indomabile womanizer e uno scooter rosa.
Il meglio del film sta nel come descrive, con evidente conoscenza della materia, il mondo delle redazioni dei fashion magazines. Chi ci ha lavorato, in quel mondo, o l’ha almeno sfiorato, riconoscerà in 20 anni di meno parecchio di quel che ha visto, tic, totem e tabù, vizi e vezzi, capricci, stronzaggini, crudeltà, smanie e manie, ipertrofie dell’ego, culto smodato della bellezza e ripudio della bruttezza, l’asenza di ogni profondità e il trionfo della superficie e dell’immagine, ma anche una professionalità caparbia, la ricerca ostinata della perfezione e dell’eccellenza. Aline è assai credibile quando, in una delle prime scene, fa rifare per l’ennesima volta, a rotative già avviate!, la copertina di Rebelle – il magazine per cui lavora – perché l’arancione non è esattamente quel che lei voleva: ragazzi, succede davvero, è successo infinite volte. E poi: il personaggio della padrona della casa editrice-pitonessa della moda, arbitra insindacabile non solo di stile, ma anche dei destini dei suoi dipendenti-sudditi, imprevedibile e incontentabile (“questo non lo vorrei neanche a fare la pulizia” dice guardando il composit di un modello propostole per la foto di copertina, e sentendola vien da pensare a Diana Vreeland). E la fotografa di moda stronza lesbo-butch che si fa chiamare con nome maschile, prepotente, arrogante e volgare, cui tutto è concesso perché è la numero uno. E l’art director leccaculo, prono con la padrona e tremendo e letale come un cobra con i sottoposti. Insomma, c’è parecchio da divertirsi in questo 20 anni di meno, al di là dell’aspetto romantic. Aline, che è una grande e talentuosa lavoratrice, punta giustamente alla direzione di Rebelle, magazine scollacciato-chic per ragazze e giovane signore di spegiudicate vedute e costumi al limite dello zoccolismo, ma essendo lei in fondo una personcina perbene e virtuosa e di sani principi si trova un po’ handicappata nella corsa alla poltrona. Per la quale è favoritissima invece la sua rivale, ‘na zoccola sempre lì a parlar di scopate e dei suoi plurimi amanti, per dimostrare di essere la direttore ideale di Rebelle e l’ideale punto di rifeimento per le sue lettrici ansiose di darsi a ogni possibie paccato della carne. Sicchè il mefistofelico art director del gruppo consiglia ad Aline di allentare un po’ il contegno e di darsi a una vita un filo più trasgressiva e porcona, altrimenti addio direzione (“guarda che se non ti dai una mossa ti mando a lavorare a Ville di campagna a occuparti di caminetti”, la minaccia lo stronzo). E sapendo che lei ha conosciuto quel Balthazar molto più giovane di lei la spinge ad accettarne le avances, finora sdegnosamente rifiutate, e ad andarci a letto. Così parte la storia tra la redattrice e lo studente, ma quella che doveva essere solo una recita si rivelerà ovviamente parecchio di più. Ora, non c’è da urlare al capolavoro, ma se amate il genere rom-com non perdetevelo questo film, che peraltro in Francia ha realizzato ottimi incassi ed è stato subito acquistato per l’Italia dalla recentemente nata casa di distribuzione Good Films (tra i cui soci proprietari mi pare figuri Ginevra Elkann). Dialoghi brillanti e acuminati al punto giusto. Due protagonisti perfettamente in parte, anche se a vincere mi pare sia lui, Pierre Niney, con quell’aria così intello-francese. Lo rivedremo nei panni di un’icona nazionale, Yves Saint Laurent, in uno dei due biopic (quello autorizzato, non quello di Bertrand Bonello contestato dal socio-partner di YSL Perre Bergé) che si stanno realizzando sul tormentato couturier. Quanto alla differenza d’età del titolo sullo schermo mica si vede: lei non ha certo l’aria di quelle che un tempo venivano chiamata dispregiativamente tardone, a 38 è poco più che una ragazza e col suo Balthazar sta benone, anzi è lui ad avere l’aria un po’ più vecchierella, se proprio vogliamo. E per favore, non tiriamo in ballo per Aline le orride categorie di cougar e MILF (mothers I’d like to fuck): fanno schifo, lasciamo che a usarle siani i peggio magazine e quelli che si credono (ma non sono) i più fichi dei social network.