Mi rifaccio vivo, un film di Sergio Rubini. Con Neri Marcorè, Emilio Solfrizzi, Lillo Petrolo, Sergio Rubini, Vanessa Incontrada, Bob Messini, Margherita Buy, Enzo Iacchetti, Gianmarco Tognazzi, Valentina Cervi.
La trovata del defunto cui è concesso di tornare sulla terra viene da Il cielo può attendere di Lubitsch. In questo film spira un’aria da nuovi telefoni bianchi, una voglia di climi leggeri, avulsi e sconnessi dalla realtà che ci tocca vivere. C’è leggerezza, anche una certa eleganza. Si sorride, ma il plot è troppo confuso e labirintico, e il risultato esangue. Voto tra il 5 e il 6
Circola una rinnovata voglia di telefoni bianchi nel nostro cinema. Di commedie disincarnate, come chiuse in una bolla, come disancorata ed emendate da ogni connessione con la barbara realtà attuale, tutt’al più evocata attraverso flebili allusioni e strizzate d’occhio. Un cinema-nuvola, a bassissimo peso specifico, leggero fino alla vacuità e alla futilità, escapista, sorridente, anche – nei casi migliori – educato e di una certa eleganza. Niente di male, in tempi brutti di multiple crisi su multipli fronti come questi mica si può alzare il sopracciglio di fronte alla voglia compulsiva di evasione. Semmai, è sulla qualità dell’evasione che si discute. Che poi la dolce commedia escapista detta dei telefoni bianchi, quella che prosperò nel nostro cinema tra anni Trenta e primissimi Quaranta in un fascismo non ancora indebolito e sconfitto dalla guerra, fa parte di noi, è pure quella biografia della nazione, che ci piaccia o meno. Invece nel dopoguerra e dal neorealismo in poi fu demonizzata, disconosciuta e quasi rimossa, in una damnatio memoriae che meriterebbe di essere indagata meglio. La sostituì la commedia popolar-plebea, prima in versione rosa alla Poveri ma belli, poi dura e acida, quella dei Risi-Monicelli-Scola, quella che si sarebbe codificata come commedia all’italiana. Oggi, insonsciamente, il nostro cinema mette questa tra parentesi e preferisce tornare a quella, alla fase anteriore del disimpegno programmatico, alla stagione delle Alide Valli e delle Marie Denis, dei Camerini e del primo De Sica. Ecco allora film come Il principe abusivo, il più rappresentativo del filone, ma anche questo Mi rifaccio vivo, che rispolvera modi educati e bonari di quel cinema d’anteguerra, ma anche – con la storia del suo protagonista defunto che torna sulla terra – il Lubitsch di Il cielo può attendere, poi rifatto da Warren Beatty (Il paradiso può attendere) e citato da Blake Edwards (Nei panni di una bionda). Purtroppo non c’è la perfezione aerea di quel prototipo hollywoodiano, il plot è inutilmente contorto e involuto, le svolte narrative son faticose e abbisognose di spieghe, ma l’atmosfera abbastanza giusta c’è, niente sguaiataggini, i dialoghi sono ammodo, gli interpreti mai sbracati e dotati di un certo stile. Insomma, non lamentiamoci troppo di questo Rubini-movie che ha il merito di cercare una strada oltre la solita commedia plebea-grossière. Biagio (Lillo senza Greg) fin da piccolo si è dovuto confrontare con il vincente nato Ottone (Neri Marcorè), sempre il primo, sempre trionfatore, e lui a schiattare di rabbia. Avete in mente Paperino e Gastone? Ecco, siamo da quelle parti. Anche da adulto per Biagio non cambia nulla, trovandosi davanti l’imgombrante presenza di un Ottone sempre più ricco, più billante, più socialmente riuscito. Decide di suicidarsi buttandosi con pietra al collo, ma nell’astanteria dell’al di là – dove si smistano le pratiche di chi deve andare dove – gli concedono, per una certa buona azione compiuta, la chance di tornare indietro per una settimana. Sicchè il nostro decide di reincarnarsi nel braccio destro e consigliere e anche un po’ guru di Ottone, Dennis Rufino (Emilio Solfrizzi), allo scopo di sabotare e rovinare definitivamente la vita dell’odiato rivale. Non sarà così. Ogni tentativo di sabotaggio si rovescerà pardossalmente in ulteriore rafforzamento di Ottone, fino a un finale ampiamente prevedibile e assolutorio. Ora, il marchingegno narrativo è alquanto ansimante, la trovata della reincarnazione non così motivata (ma perché Biagio decide di usare quella settimana di bonus che gli hanno dato per prendersi una vendetta e non per dimostrare di essere un uomo migliore come gli chiedono i burocrati dell’al di là?), il divertimento è piuttosto moderato e di scene memorabili non ce ne sono. Però si esce dal cinema abbastanza leggeri, ed è qualcosa.
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