Fantozzi, Rete 4, ore 21,12.
Lo ammetto, mai amato Fantozzi, né al cinema e nemmeno nella sua precedente forma televisiva e libraria (cui leggenda vuole abbia dato i suoi preziosi suggerimenti, se non addirittura qualcosa di più, Umberto Eco). Certo, è una maschera immarcescibile del carattere italico e una sua geniale rapresentazione, ma proprio per questo non ce la faccio a volergli bene. Questo ignavo travet, maltrattato dalla sorte e dai suoi superioti, e masochisticamente appagato e complice del suo destino, l’ho sempre trovato vagamente repellente. Servo dentro (come il molto simile personaggio villaggesco di Fracchia), senza speranza alcuna di riscatto. Senza dignità. Pronto a strisciare più per genetica voluttà da verme che per reale necessità di compiacere i potenti al fine di sopravvivere. Da Fantozzi, magari ridendo e qua e là sghignazzando, dovevo sempre a un certo punto distogliere gli occhi, poiché lo spettacolo della sua sfigatissima vita mi imbarazzava e pure disgustava. Ciò detto, Fantozzi, primo e fondativo episodio girato da Luaciano Salce nel 1975 che darà vita a una lunghissima saga, resta imprecindibile per l’immane successo che ha avuto e continua ad avere. I suoi fanatici lo ricordano scena dopo scena, ne degustano gag e macchiettoni, io ricordo chissà perché soprattutto la parte al ristorante giapponese che mi fece divertire davvero. Accanto a Paolo Villaggio c’è la Pina-Liù Bosisio, che nei successivi episodi scomparirà per lasciare il posto a Milena Vukotic. Più la galleria di mostri che conosciamo, la signorina Silvani/Anna Mazzamauro, il collega Filini/Gigi Reder, la scimmiesca figlia Mariangela di Plinio Fernando. Guardandola, la Mariangela, ci si rende conto di come il celebrato Leos Carax di Holy Motors non abbia inventato proprio niente con la sua famigliola-scimmia (sorry, Carax, è una delle parti più brutte del film).
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