Mio figlio professore, Rai 1, ore 1,55.
Commedia popolare del 1946, neorealista ma di un neorealismo già sorridente e un po’ rosa. Dirige Renato Castellani, regista fine e di eleganza massima anche quando trattava temi popolari, che di lì a qualche darà film importanti (Due soldi di speranza, Sotto il sole di Roma, Nella città l’inferno). Qui a far da mattatore c’è uno dei divi del tempo, Aldo Fabrizi, all’apice della sua bonomia e perfetto everyman romanesco, stavolta nei panni di un bidello del liceo. Il quale ha come sogno di riscatto sociale quello di vedere il proprio unico figlio laurearsi e diventare professore proprio nel liceo in cui lui lavora. Ce la farà. Ma col rampollo, che nel frattempo si è un po’ imborghesito e di quel padre popolar-proletario forse si vergogna un attimino, saranno problemi, attriti e incomprensioni. Finché il padre deciderà di lasciare campo libero al figlio prof e di andarsene a fare il bidello altrove. I sogni di ascesa della piccolissima borghesia hanno un prezzo, e questo film ne è la rappresentazione perfino paradigmatica. Quasi una parabola brechtiana in forma trasteverina. Di culto la presenza di Giorgio De Lullo, sì il futuro regista di tanto Pirandello e di tanto altro con la Compagnia dei Giovani, quale figlio di Fabrizi, e per rappresentare il solco sociale, la differenza che lo separa dal padre, è anche somaticamente, fisiognomicamente perfetto. Con le sorelle Pinuccia, Lisetta e Diana Nava. Incredibili comparsate di Mario Soldati, Ercole Patti, Ennio Flaiano, e già questo basti.
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