Mammuth, Rai Tre, ore 23,25.
Gran successo in tutta Europa nei circuito art house e nelle cinémathèques, meno da noi, più lenti e provinciali nel cogliere e nell’accogliere le cose interessanti del cinema continentale. Mammuth, anno 2010, è forse l’ultima memorabile interepretazione di un Gérard Depardieu monumentale, che occupa lo spazio filmico e cavalca la moto-feticcio anni ’70 che dà titolo al film con l’autorità e anche la prepotenza di un padre-padrone, di un monarca assoluta prerivoluzione. Il mammuth, così possente e debordante, in fondo è lui, nel ruolo di del macellaio appena pensionato Serge, il quale però si rende conto di essere stato fottuto dai suoi precedenti datori di lavoro che non gli hanno versato tutti i contributi dovuti. Da lì la decisione di partire sulla vecchia moto Münch Mammuth per ripescare a uno a uno i fedigraghi e metterli di fronte alle loro responsabilità. Sarà, come tutti i viaggi, qualcosa che si scosta dall’obiettivo originario per includere altre esperienze, altre storie. Come l’incontro con una ragazzina che in Serge qualcosa cambierà. Bellissima idea, messa in cinema dal duo registico belga Benoît Delépine-Gustave Kervern – che già avevano dato il memorabile Louise-Michel – nei toni della commedia grottesca e cattiva e anche volutamente plebea e inelegante. Insomma, puro cinema belga così come si è configurato negli ultimi dieci-quindici anni. Cinema per niente medio, spesso con storie e personaggi al limite del mostruoso sociale, del frikkettonismo esistenziale. Un cinema che dribbla e abiura l’estetica del carino, per farsi realismo e ritratto di un paese, le plat pays, percorso sempre da sotterranee follie e interruzioni. Cast magnifico. C’è anche Yolande Moreau, altra faccia e corpo di questo cinema mai piacione e anche consapevolmente sgradevole, vista a Cannes lo scorso maggio dove, in chiusura di Quinzaine, ha presentato il suo lavoro da regista Henri (protagonista il nostro Pippo Delbono). Ma, attenzione, ci sono anche Isabelle Adjani e Benoît Poelvoorde.
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