Cielo sulla palude, Rete 4, ore 1,47.
Straordinariamente interessante, per diversi ordini di motivi. Perché resta una dei migliori e più efficaci film di propaganda o se preferite di edificazione religiosa (di impronta cattolica) che si siano mai fatti. Per come mescola l’agiografia al naturalismo e soprattutto allo stile neorealista allora imperante (il film è del 1949). Per il suo regista, Augusto Genina, autore prolificissimo fin dai tempi del muto che aveva perfino diretto Louise Brooks in Miss Europa (Prix de Beauté), mettendosi poi al servizio della propaganda del regime mussoliniano con Lo squadrone bianco e L’assedio dell’Alcazar. A guerra finita, Genina se ne sta schiscio e senza lavorare per un bel po’, riuscendo a dribblare – immagino – epurazioni e ritorsioni, per riemergere alla fine dei tormentatissimi anni Quaranta con questo stupefacente oggetto cinematografico. Cielo sulla palude è la storia, in toni ampiamente agiografici (ma come sarebbe stato possibile altrimenti?), di come una ragazzina dell’Agro Pontino di nome Maria Goretti venne uccisa per aver resistito a chi la voleva violentare, assurgendo a simbolo della purezza vittimizzata, a martire, a modello per ogni ragazza. La verginità come valore da preservare a ogni costo, anche della vita. Tant’è che Goretti venne subito fatta santa, e del suo processo di mitizzazione e sublimazione fa parte integrante questo film: che ebbe un clamoroso successo, soprattutto nel circuito dei cinema delle parrocchie, e che avrebbe circolato per i dieci-quindici anni successivi incessantemente, fino all’assunzione in tv, dove rinacque a nuova visibilità e nuova vita. Rigoroso bianco e nero che Genina usa sapientemente per intensificare la drammaticità di quanto racconta, e per restituire gli ambienti miseri, al limite del subumano, in cui i personaggi, vittime e carnefici, indistintamente si muovono (a parte la contessa proprietaria terriera). Genina assorbe la lezione di Rossellini e la mette al servizio della propaganda della Chiesa. Un vero mutante, un camaleonte del nostro cinema. Attori sconosciuti, anzi, come si diceva allora, presi dalla strada, secondo pura retorica neorealista. Interessante sarebbe un’analisi comparata con altri film coevi di propaganda politica, quelli sovietici per esempio.
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