Recensione. SE SPOSTI UN POSTO A TAVOLA: valzer dei destini alla festa di nozze. Solo che la melassa è troppa

20072468Se sposti un posto a tavola, regia di Christelle Raynal. Con Elsa Zylberstein, Franck Dubosc, Audrey Lamy, Arié Elmaleh, Lannick Gautry, Louise Monot.20072476
A un party di nozze i segnaposto vengono scompaginati e le vite cambiano. Un film alla Sliding Doors o alla Smoking/No Smoking. E ogni volta che i segnaposto vengono scombinati e ricombinati, cambia il destino dei personaggi. Poteva essere un film di molto astratta eleganza. Solo che il clima è quella smanceroso e melenso delle soap. Peccato. Voto 5+20072477
Tutto è pronto per le nozze e il ricevimento. Solo che Marie, la ragazza in abito bianco che di lì a poco sarà une femme mariée, ha un attimo di cedimento e nostalgia allorchè si ritrova davanti quel piacione di Eric, l’uomo conosciuto sei anni prima su un treno, di cui è stata innamorata e che poi ha lasciato. Adesso sta per sposare un altro, un brave ragazzo, e pure belloccio, solo un po’ troppo ammodino e noioso, e quando Eric cerca di baciarla Marie sciaguratamente ci sta, e i due ruzzolano a terra tirandosi dietro uno dei tavoli preparati per gli invitati in arrivo, e i segnaposti che ci stavano sopra. Quando il caso, letteralmente, rimescola le carte, anzi i cartoncini, e rimette in gioco le esistenze. Eric risistema i segnaposto, ma nell’ordine sbagliato, accostando così a quella fatale tavola persone che non dovevano esserlo e separando chi sarebbe dovuto stare vicino. E la vita, le vite prenderanno un’altra piega, comprese quelle di Eric e di Marie la sposa.
Sì, un film come se ne fecero in una certa stagione, un film della simulazione, dell’ipotesi, del come se, alla Sliding Doors o alla Smoking/No Smoking di Alain Resnais. Metti un giorno a un party di nozze. Un pugno di personaggi: una coppia con un lui traditore, la sorella della sposa, un fotografo solo, voglioso e ambizioso, un gallerista più sessuomane che amante dell’arte, una moglie paziente ma non scema, e così via. Le figurine del girotondo, o della quadriglia, sono pronte. Ecco che, in base al disordine (che diventerà anche disordine amoroso) creato da Eric nei benedetti cartoncini, interagiranno, entreranno in contatto e in collisione, creeranno e distruggeranno trame e relazioni, si innamoreranno e tradiranno, e verranno tradite. Solo che c’è sempre, ci dev’essere sempre, una seconda e una terza e una quarta chance. Così rivediamo Eric, vero deus ex machina, rimescolare di nuovo i segnaposto, ricollocarli una, due, tre volte, e ogni volta i personaggi si relazionano diversamente, creano nuove trame. Fino a che si troverà il giusto equilibrio, ognuno davvero si troverà al posto giusto accanto alla persona giusta. Un film che è un astratto gioco combinatorio, fondato su un’idea non nuova ma che, se ben utilizzata, è sempre in grado di produrre qualcosa di non ovvio. Peccato che qui il tono e il clima siano quelli delle soap, e gli strani giochi del caso convergono alla fine nel più banale, anzi nei più banali happy end a catena che si possano immaginare. Tanto sbattersi e tirare in ballo il Fato per qualche bacetto e cuoricino pulsante in più? Suvvia, siamo seri. È questa melassa in sovradosaggio a irritare, non la stereotipizzazione dei vari personaggi, come qualcuno ha lamentato. Il bello di narrazioni come queste è la vertigine combinatoria, la moltiplicazione delle chance, e perché ciò riesca i personaggi devono essere i più astratti possibili, ridotti a tipi – stereotipi o idealtipi poco importa – in modo che si possano rimescolare con il massimo della fluidità, senza troppe scorie psicologiche da portarsi dietro, senza la zavorra di troppe asperità e profondità. Figurine piatte, come quelle dei tarocchi. Tipi universali da mettere in fila e poi buttare all’aria e vedere come cascano. Niente di più, niente di meno. Ma per farcela, in operazioni di questo tipo, bisogna essere dotati di infallibile eleganza, bisogna avere la leggerezza e anche il cinismo del croupier che sa di avere tra le proprie mani il destino di chi sta intorno al tavolo da gioco. Bisogna condurre la partita con distcco, disincanto e una certa impassibilità, perfino crudeltà. Ci derve essere la giusta distanza tra il regista-manovratore e i suoi personaggi-marionetta, e la messinscena deve somigliare a un balletto meccanico, a una danza coatta di automi eterocomandati. La regista Christelle Raynal conduce la sua quadriglia non senza garbo, ma il disincanto del croupier no, non le appartiene proprio, e cade clamorosamente nella trappola del grazioso e del sentimentale. Peccato. Occasione sprecata.

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