Il fiore delle mille e una notte, la7d, ore 23,30.
L’ultimo della pasoliniana Trilogia della vita. Che voleva essere un inno alla naturalità e all’innocenza dei sensi e divenne invece, in una esemplare eterogenesi dei fini, una rappresentazione oscura dell’eros. Ispirato alla raccolta di novelle venuta dalla Baghdad dei califfi, Il fiore delle mille e una notte porta inciso il segno del suo regista in ogni dettaglio, in ogni faccia e cosa, in ogni respiro di ogni personaggio. Di una bellezza da lasciare davvero senza fiato, una Grande Bellezza che anticipa ogni successivo tentativo del cinema, italiano e non, di cimentarsi con la perfezione della forma. Girato in gran parte nello Yemen, in uno Yemen quasi astratto e oltre-temporale, ma anche, se ricordo bene, in Iran e perfino Afghanistan (mondi che c’entrano sì con la cultura islamica, ma non con quella araba; ma grazie a Dio Pasolini non era un filologo o un geo-storico). Come nei precedenti Decameron e I racconti di Canterbury, Il fiore della Mille e una notte ribadiva nelle intenzioni pasoliniane il primato dell’eros su thanatos, dell’istinto di vita sull’istinto di morte. In realtà diventa una perfetta anche se inconsapevole lezione di antropologia freudiana sull’impasto inestricabile di vita e morte. Mai l’eros è apparso così insidioso e ambiguo come in questa trilogia, dietro l’apparente giocosità che l’autore dice di mettere in scena. Il livello figurativo resta altissimo. Vedendo Il fiore delle Mille e una notte si restra quasi increduli: qui il manierismo di Pasolini raggiunge vertici inimmaginabili di raffinatezza, ogni inquadratura trasuda citazioni e riferimenti, e un gusto sovrumano. A colpire, semmai, In Il fiore delle Mille e una notte, è – oltre all’erotismo e allo spettacoli dei corpi e della carne, oggi insostenibili – la scarsa sensibilità di Pasolini verso la cultura islamica, nonostante i mesi trascorsi nelle splendide location yemenite. Cultura raccontata ma poco capita e poco penetrata.
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