El Mudo (Il muto), regia di Daniel Vega e Diego Vega. Con Fernando Bacilio, Lidia Rodríguez, Juan Luis Maldonado, Augusto Varillas, José Luis Gómez, Norka Ramírez, Ernesto Ráez. Perù/Francia/Messico. Proiettato nel Concorso internazionale.
Gran delusione, questo film di due fratelli peruviani che ha inaugurato il Concorso. Un giudice viene prima minacciato, poi colpito da una proiettile. Cosa c’è dietro? cosa c’è sotto? Sembra di essere dalle parti di A ciascuno il suo di Petri-Sciascia. Ma è un’illusione ottica. Il film non va da nessuna parte perché non sa dove andare. Oltretutto di una piattezza realizzativa d’altri tempi. Voto 4
Primo film del Concorso internazionale, la sezione maggiore del Festival, quella per intenderci del Pardo d’oroi, e non è una brillante partenza. Abbondanti sbadigli nella platea-stampa e perplessità di fronte a un plot tra il nebuloso e lacunoso, con perfino qualche tentazione e slittamento nel magico-surrealista di scuola iberico-latinoamericana, cioè la peggio, la più greve del genere. Per la gran parte però questo Il muto somiglia per piattezza a un fiction della vecchia televisione, quando ancora non c’erano le serie fichissime: Rai Uno la domenica sera, ecco. Siamo a Lima, Perù (e il film è firmato da due fratelli peruviani, uno operante in patria e l’altro se ho ben capito insegnante di cinema a Barcellona), e facciamo la conoscenza di un brav’uomo di nome Constantino Zegarra, giudice scrupoloso e onesto al locale palazzo di giustizia. Integerrimo, incorruttibile, tant’è che si rifiuta di cedere all’insistenza di una signora che lo implora di chiudere un occhio sulle vicende legali del figliolo. Gli lancia una maledizione, quella signora un po’ strega, e forse questo avrà le sue conseguenze nel corso della storia (forse, perché non si capisce tanto bene). Fatto sta che per Zegarra cominciano le disgrazie: una catena. Lo minacciano, gli rovinano la macchina, oltretutto lo destituiscono e lo trasferiscono in una sede minore. Fino a quando viene colpito alla gola da una pallottola sparata da chissà chi, che lo renderà muto. C’è un legame tra il suo siluramento e quell’attentato? Che, secondo gli inquirenti, non è neanche attentato, solo pallottola vagante. Constantino non si arrende e si ostina a fare un’indagine sua. Ecco, a questo punto sembra di essere, nonostante la noia e il grigiore della messinscena, dalle parti di A ciascuno il suo, solo che qui non c’è come partenza il romanzo di Sciascia e non c’è alla regia Elio Petri. Invece poi El mudo svolta inopinatamente verso non si capisce cosa, forse il magico, forse l’onirico, chissà. E noi che pensavamo di aver afferrato qualcosa, a questo punto piombiamo nel buio. Che sia un’allegoria del potere e dei suoi riti come si faceva nei film impegnati anni Sessanta-Settanta? Che il mutismo sia metafora del silenzio imposto dal potere? Mah. Solo un film dalle idee confuse e che a un festival come questo non ci sta troppo bene. Poi magari gli danno un premio. Le giurie, si sa, son capaci di tutto.
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