L’Étrange Couleur des larmes de ton corps (lo strano colore delle lacrime del tuo corpo). Regia di Hélène Cattet e Bruno Forzani. Con Klaus Tange, Jean-Michel Vovk, Sylvia Camarda, Sam Louwyck, Anna D’Annunzio, Manon Beuchot. Presentato nel Concorso internazionale.
Finalmente, ti dici, ecco arrivare (dal Belgio) un film di genere tra l’horror e il phantastique, e ti appresti tutto contento alla visione. Invece questo film è pretenzioso come il suo titolo. Guarda a Dario Argento, David Lynch, Nicolas Roeg, e pure al surrealismo belga di Magritte e Delvaux, senza inventare niente e andare da nessuna parte. E poi, in questa storia di una donna scomparsa, non si capisce cosa succede. Le morti per lama si susseguono, il sangue scorre a fiumi, ma si arriva alla fine più confusi che all’inizio. E se i due registi azzeccano qualche immagine potente, per il resto la loro è un’equivoca estetica finto chic e assai tamarra, simile a quella di certa pubblicità e certe campagne fashion. Voto tra il 4 e il 5
Un film arrivato a Locarno carico di promesse, con la sua coppia registica (made in Belgio) già affermata nel giro del cinema fantastico e relativi festival e rassegne dedicate, tipo Sitges, e già con un seguito di cultori. Oltretutto, un film di genere che flirta con i generi, e dunque dopo tanta autorialità, non sempre buona, vista in questo festival, ero bendisposto al massimo grado alla visione, io che i generi li amo (anche se non tutti e non tutti allo stesso modo). Invece, signori miei, non ci siamo. Il film è oscuro e inutilmente pretenzioso come il suo titolo, occhieggiando ai classici e ai maestri del cinema sanguinario-visionario senza mai trovare una strada sua, e un senso purchessia. Un uomo torna a casa – una meraviglia Art Nouveau, immagino a Bruxelles – ma la moglie Edwige non c’è. Sparita. Cosa mai sarà successo? Ecco, una domanda alla quale cercheremo per tutto il film una risposta. Perché quella scomparsa è solo l’innesco di un delirio narrativo e visivo in cui i due autori costruiscono e accumulano compulsivamente un’immagine sull’altra puntando al massimo dell’effetto e dell’effettaccio possibile, in un barocchismo sfrenato dove lame (di ogni tipo) squarciano corpi femminili e maschili, lacerano superfici e oggetti, e il sangue zampilla da ogni dove, senza peraltro che nel frattempo si costruisca un racconto. Per carità, non son così bacchettone da stupirmi o lamentarmo di un film in cui la storia è assente e in cui le immagini sono tutto. Son cose che si fanno dagli albori del cinema e dal tempo, ormai sono cent’anni!, delle avanguardie storiche. Il film come lingua e materializzazione dell’inconscio, il montaggio e lo smontaggio come associazione libera, l’automatismo espressivo ecc. ecc. Solo che qui c’è solo il casino, le immagini – alcune, ma solo alcune, potenti – solo a se stesse rimandano, in una macchina visuale celibe e autoriferita. Il guaio è, signora mia, che non si capisce niente. Chi ha ucciso chi? E c’è davvero un assassino? O ce n’è più d’uno? E se fosse stato lui, il probo maritino, ad aver ammazzato la moglie? Ma c’era davvero una moglie o è tutto un delirio nella mente del protagonista? Oltre a lui vediamo altre donne, altri uomini (un poliziotto, il padrone di casa, un misterioso uomo barbuto). Sicome siamo in Belgio e ogni tanto si parla fiammingo, c’è anche un bel po’ si surrealismo di quelle parti, tra Magritte e Delvaux. Il labirinto. La stanza degli specchi. Il tunnel dell’orrore. Aspettiamo con ansia che qualcuno e qualcosa ci spieghi, ma niente. Si arriva alla fine, dopo un fiume di sangue versato, vari sventramenti e orrori, con in testa più confusa che all’inizio. Cattet-Forzani ne fan di ogni per citare l’Argento di Suspiria, Profondo rosso e della trilogia animale, usan costumi e cappucci rossi come in A Venezia un dicembre rosso shocking di Nicolas Roeg, ma restano intrappolati nel loro solipsismo. Certo che si guarda anche a Lynch in questo film, ma se ne prendono solo i tic più esteriori senza cogliere davvero l’essenza del suo cinema, l’uso magistrale dell’alfabeto dell’inconscio (vedi Mulholland Drive). Ma il peggio di Lo strano colore delle lacrime del tuo corpo sta in un’estetica che si vorrebbe alta, e che invece somiglia troppo da vicino a quella chic-tamarra di certa pubblicità di moda (quelle orrende parti del film in bianco e nero) e di certa videomusica.
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