Historia de la meva mort (Storia della mia morte), regia di Albert Serra. Con Vicenç Altaió, Clara Visa, Noelia Rodenas, Montse Triola, Eliseu Huertas, Lluís Serrat. Presentato nel Concorso internazionale.
Non ha ancora 40 anni, ma il catalano Albert Serra è già autore di culto. Con una schiera di devoti che qui hanno accolto con il massimo favore questo suo nuovo Storia della mia morte, dove Casanova incontra bizzarramente Dracula. Gran bella idea, peccato che Serra non la sfrutti adeguatamente e preferisca concentrarsi sulla parte visiva, peraltro di rara magnificenza. Ma basta una serie di meravigliosi tableaux vivants per fare un grande film? Se solo Serra avesse curato di più la narrazione avremmo avuto il capolavoro. Voto 7 meno
Non ancora quarant’anni, e già una consolidata fama di Autore (la maiuscola è obbligatoria in questi casi) raggiunta con un pugno di film circolati per parecchi festival (Quinzaine compresa) e parecchio premiati (a Torino, per esempio). Il catalano Albert Serra è un culto, contando su un manipolo di devoti ammiratori sparsi per tutta Europa e recensori ferventi piazzati nelle più accreditate riviste che non han perso l’occasione di convergere qui a Locarno per il suo nuovo e molto, molto atteso Storia della mia morte, uno dei titoli che più brillano nel programma del Concorso internazionale e tra quelli indubitabilmente di maggior caratura. Confesso: questo è il primo film di Serra che vedo, e, per quanto mi riguarda, al momento sospenderei l’ingresso del regista catalano nell’empireo dei grandi, lo bloccherei un attimo al checkpoint in attesa di ulteriori verifiche e prove documentali della sua statura d’autore. Certo, Historia de la meva mort (quasi tre ore, e anche questo, si sa, contribuisce alla fama di Regista Maximo, vedi alle voci Bela Tarr e Lav Diaz) ha un’impronta forte e originale, non derivativa, e rivela una visione, un’idea di cinema. Questo film, che racconta bizzarramente un Casanova che finisce tra i Carpazi e incontra Dracula, è di una magnificenza visiva come è raro vedere, una magnificenza da grande classico, consapevole di tanta tradizione figurativa e pittorica (Goya in testa, direi) e però sintonizzata anche sulle ricerche di frontiera di certa videoart. Il Settecento di Historia de la meva mort è quasi tutto in notturna, immerso in un buio che sembra programmaticamente voler negare e ribaltare la convenzione e anche la retorica del secolo dei Lumi. Tutto è assai misterioso, fuochi bruciano e illuminano incessantemente le scene, le figure escono dall’ombra e nell’ombra ritornano. Qualcuno ha tirato in ballo il Barry Lyndon di Kubrick, ma qui in Serra non c’è nulla dell’epica kubrickiana, nulla del suo gigantismo e delle sue inquadrature di perfezione apollinea. Serra mi pare più attratto, e con lui il suo protagonista Casanova, dall’oscurità, dalle tenebre, dai misteri alchemici, e il suo film è un viaggio, letteralmente, nella dark side. Mai un movimento della macchina da presa (e se ricordo male, mi corriggerete), e invece, come si usa molto nel cinema autoriale oggi e come si è visto molto anche in questo festival (in Hong Sangsoo, per esempio, o nel bellissimo film azero di Cineasti del presente Chameleon), camera fissa a inquadrare lentissimi e minimi movimenti dei personaggi o, il più delle volte, la loro immobilità. Tendenza tableau vivant. Questo cinema di Serra è fascinoso per la visualità, ma il resto? L’idea – che pare sia venuta al produttore rumeno del film – di far incontrare Casanova e Dracula è grandiosa, peccato che Serra non la sfrutti in pieno, anzi la spreca proprio, facendo incrociare i due solo una volta nel finale (ed è un finale assai bello, che fa rimpiangere quel che tutto il film sarebbe potuto essere). La mia impressione è che il regista catalano abbia tenuto d’occhio più il carattere di Casanova, peraltro solo sommariamente abbozzato (nessun personaggio del film è pazientemente lavorato e rifinito, se è per questo), un Casanova lontano da quello felliniano, un vecchio laido e repellente, superficialmente illuminista (sempre lì a parlare male di Chiesa, Roma e papa e a citare Voltaire) e assai più negromante alla Cagliostro, attratto com’è dall’alchimia e dal magico. Ancora incredibilmente capace di portarsi a letto giovani donne, sia nel castello svizzero in cui si svolge la prima parte, sia nella fattoria dei Carpazi della seconda. Con, perfino, una scena di coprofagia in cui il nostro si delizia della produzione stercoraria di una sua amata. Ma non aspettatevi chissà quali riletture del personaggio, o del secolo dei Lumi. Serra procede per tratti casuali e impressionistici, a lui interessano solo i suoi tableaux vivants, e basta. Peccato, se col talento che si ritrova avesse anche voglia di mettere in piedi delle storie e di curare come Dio comanda sceneggiature e dialoghi potrebbe davvero diventare un maestro. Per il momento, possiamo lasciarlo un attimo in dogana in attesa di ulteriori controlli?