Venezia Festival 2013: GERONTOPHILIA (recensione). Un amore tra un 18enne e un 82enne che doveva essere scandalo, invece il pubblico lo ha adorato e ha applaudito fragorosamente

gerontGerontophilia, regia di Bruce LaBruce. Con Pier Gabriel Lajoie (Lake), Walter Borden (Mr. Peabody), Katie Boland (Désirée), Marie-Hélène Thibault (Marie). Presentato alle Giornate degli Autori.geront 1
Finora il vero film-evento di questo Festival, anche se proiettato nella rassegna indipendente delle Giornate. Lo scandalo era pronto e annunciato,visto che questo film del canadese Bruce LaBruce sdogana la gerontofilia e ci mostra amore e sesso tra un ragazzo di 18 anni e un signore che ne ha invece 82. Il regista ha però avuto l’accortezza di raccontare il tutto nei toni della rom-com e del mélo, strappando l’applauso finora più lungo e più convinto. L’intuizione più bella: farci vedere il giovane Luke non come un pervertito o un malato, ma come una specie di un santo naturalmente portato a far del bene agli altri e a renderli felici. È questo a rendere davvero diverso e straordinario Gerontophilia. Voto 8geront 3
Quando prima della proiezione del film in sala Darsena è entrata il regista BruceLaBruce con i suoi collaboratori e due interpreti (i due giovani), accolto da un applauso, ho commentato con un mio vicino: se lo goda adesso, l’applauso, che alla fine non se ne beccherà mezzo. Figuriamoci, pensavo, un film che racconta l’amore, sesso compreso, tra un ragazzo di 18 anni e un 82enne verrà accolto, bene che vadano le cose, dal gelo, altrimenti, e più probabilmente, saranno buuh. Mi sbagliavo clamorosamente. Alla fine la platea gremitissima (stampa e pubblico pagante) è scoppiata in un applauso fragoroso e sincero che non finiva più. Succede quando c’è l’autore presente (il pubblico è beneducato e batte le mani per eccesso di cortesia), ma stavolta si è andato oltre il consenso di circostanza, molto oltre. Pensare che tre anni fa Bruce LaBruce aveva sconvolto le anime belle di Locarno con L.A. Zombie, morti viventi gay in una California post-apocalittica, e con protagonista una gay pornostar sempre ignuda e a fallo sguainato e brandito. Figuriamoci. Un film programmaticamente costruito per épater i residui bourgeois. Questo, al contrario, mi sembra accuratamente pensato e strutturato per piacere al pubblico il più largo possibile, adottando modi e moduli della romantic comedy, smorzando i toni e intensificando i lati sentimentali o perlomeno di relazioni umane, e l’operazione ha funzionato, funziona, eccome. Obiettivo evidente dell’un tempo oltraggiosissimo regista canadese Bruce LaBruce era di far ingoiare e rendere accettabile un contenuto quasi indigeribile alle platee, l’amore, sesso compreso, tra un ragazzo 18enne, peraltro assai bello e con fidanzata intelligente e altretanto bella, dunque tutt’altro che un poverello sfigato senza chance sul mercato dla seduzione, con un signore di 82 anni ricoverato in un ospizio e non molto ben messo di testa e di fisico. Ormai tutti i generi d’amore un tempo tabù son stati sdognanati e legittimati al cinema, e fuori dal cinema. Non ricordo però un’operazione come questa, non così esplicita e radicale almeno, applicata alla gerontofilia. Una narrazione perfino esemplare, anche didascalica, costruita con grande attenzione, mestiere e sapienza in fase di sceneggiatura. Facciamo subito la onoscenza di Lake, bel ragazzo di 18 anni dall’animo puro e naturalmente portato alla generosità verso gli altri (accudisce la madre che le psicologhe da talk show definirebbero autodistruttiva), fidanzato a una ragazza assai intellettuale e carina, pazza pe tutte le eroine ribelli della modernità (comprese le terroriste tedesce Meinhof e Esslin) e della leteratura, punkeggiante e antagonista. Un bellissimo, insolito personaggio, di quelli che vorresti incontrare più spesso al cinema. Ma lui, Lake, incomincia a percepire un’oscura atrazione per i vecchi uomini, per vecchi si intende ben oltre i 70 e anche gli 80, per i loro corpi sfatti, malati, rugosi, indeboliti, declinanti. Per quelle facce che raccontano parecchio. Uomini all’opposto dei modeli di perfezione e possanza fisica che egemonizzano immagini e immaginari contemporanei. In piscina salva un vecchio praticandogfli la respirazione bocca e bocca, e in quel momento ha un’erezione con orgasmo. Sarà una rivelazione. Lake finirà a lavorare, un po’ per caso, un po’ per necessità, un po’ per oscura scelta inconscia, nel ricovero per anziani Coup de Cooeur (siamo a Montreal). Deve lavorar di padelle da scaricare e pulire, di corpi da medicare e lavare pazientemente con la spugna anche nelle zone intime, agli altri tutto questo ripugna, a lui no. Di fronte a un paziente che si sta masturbando non esita a apogliarsi per eccitarlo ulteriormente. Ma tutte le pulsioni fino a quel momento confuse e ancora semi-inconsce si condenseranno, si paleseranno allorché conoscerà un altro ricoverato, Melvin, quasi 82 anni, gay dai molti amori passati, ma anche con un figlio avuto da un matrimonio breeve disitratto, uomo di gran charme pieno di aneddoti e storie fascinose da raccontare dopo una vita trascorsa nell’ambiente teatrale. Sa cos’è il gin fizzy e il gin gummy, e molto altro. Il cotocircuito Lake-Melvin scatta subito. Lake incomincia ad adorare quel corpo, a eccitarsi e ad eccitarlo, attratto perfino dalle ferite, dalle ulcerazioni, dalle imperfezioni. Li vediamo baciarsi, più volte, ma Bruce LaBruce ha l’accortezza di non mostrarceli fare davvero l’amore, anche se vediamo un preservativo che non lascia dubbi su cosa sia successo. Quando a Melvin cominceranno a somministrare dosi sempre più massicce di psicofarmaci per tenerlo buono, Lake deciderà di rapirlo da quell’ospedale-lager e, con l’aiuto della sua intelligente ex, lo caricherà in macchina e via, verso l’Oceano Pacifico che Melvin sogna di vedere ancora una volta nella vita. Continureanno nei motel a fare l’amore, Lake proverà perfino gelosia. Poi finirà come forse qualcuno di voi riesce ad immaginare, ma non voglio dire. Dalla rom-com si svaria spesso nel melodramma, però trattenuto e mai troppo fiammeggiante. Bruce LaBruce tiene la temperatura della narrazione sul caldo costante, ma non intenso, onde non bruciare e non bruciarsi. Un film cui è difficile resistere, una storia d’amore incredibile, se vogliamo anche inverosimile, ma che LaBruce ha il talento di renderci credibile. Che sono i miracoli che succedono con un buon film, un buon romanzo. Certo, l’intenzione è quella di mostrarci la legittimità della gerontofilia, il suo essere una specie d’amore tra le tante e come tante, ma anziché percorrere le strade del manifesto ideologico, l’autore canadese più sottilmente sceglie quella del racconto ben strutturato, e ce la fa. Però a rendere il film qualcosa di più e qualcosa di diverso del semplice sdoganamente di una forma d’amore reietta sono alcune intuizioni profondissime, che spostano Gerontophilia nell’area delle opere complesse e alte, e non solo abili o furbe. La prima, la più bella: Lake, nella sua naturale bontà e predispesizione verso gli altri, ci viene presentato come una specie di santo, e santo lo chiama difatti la sua ragazza. Sì, Lake appartiene alla ristrettissima schiera degli uomini buoni che danno e fanno senza voler nulla in cambio e agiscono per il bene degli altri e per l’altrui felicità. Il concedersi all’82enne Melvin non è tanto un segno di innamoramento e amore, è un segno di santità, di chi arrischia se stesso per rendere felici gli altri. Quando Lake bacia le piaghe di Melvin non è perversione, come sarebbe facile e pedestre e rozzo liquidare, piuttosto si avvicina ai santi  e ai martiri che si sacrificavano fino alla sfinimento nei lazzaretti, nei lebbrosari per la cura dei malati e dei moribondi, che si contaminavano del male dei malati, che dividevano con loro il destino. LaBruce intuisce anche, o sa, che osceno e sacro sono categorie confinanti e talvolta nate da una comune materia. Il peccato di Lake è l’inoltrarsi in territori protetti dall’interdetto e come sottratti al dominio del’umano. Un’inziazione sacra. Per questo Gerontophilia è un film insolito e prezioso. Che ha per modelli di riferimento, per esplicita dichiarazione di Brce LaBruce, due classici della Nuova Hollywood anni Settanta, Harold e Maude e Qualcuno volò sul nido del cuculo.

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