Venezia Festival 2013: JOE (recensione). Nicolas Cage ritrova un grande personaggio, e il film è tra le cose migliori viste finora in concorso

joeJoe, di David Gordon Green. Con Nicolas Cage, Tye Sheridan, Ronie Gene Blevins. Presentato in Concorso.joe 1
Joe è un uomo temprato e dal pessimo carattere. Ma è un uomo buono. Un giusto. Quando gli si presenta l’occasione di aiutare Gary, un ragazzetto di quindici anni con una famiglia devastata, non si tirerà indietro. E tutto si complicherà. Descrizione assai credibile dell’America più profonda e della sua working class. Film virile, sobrio,  che solo nell’ultima parte si carica di un eccesso di sentimentalismo. Ottimo Nicolas Cage. Voto 7joe 2
Arrivati al quarto giorno di festival, non si può proprio dire che nel concorso si siano visti capolavori o cose assolutamente memorabili. Sì, c’è l’eccezione tedesca di La moglie del poliziotto, la scommessa più azzardata e coraggiosa, film smisuratamente autoriale e fuori da ogni medietà, e però con parecchie zeppe che gli impediscono di assurgere a opera assoluta. Per il resto zero ciofeche, qualcosa tra il medio-mediocre e il sufficiente. Sicché, tracciando un primissimo, parzialissimo bilancio, risultano essere i tre film americani (Joe, Night Moves e Child of God) finora i migliori, o almeno i più interessanti. Joe conferma il talento di David Gordon Green, uno che ha alle spalle anche Lo spaventpassere per dire, ma che all’ultima Berlinale con Prince Avalanche è diventato un autore di prima fascia portandosi a casa l’Orso d’argento per la migliore regia. Adesso, l’invito a Venezia in concorso. Con Joe fa un altro passo in avanti consolidando il suo status di narratore, e riprendendo ambienti, climi e modi del film precedente. Come in Avalanche, mostra di saper descrivere assai bene, e con rispetto, la working class dell’America più profonda, e i suoi linguaggi, i suoi riti soprattutto maschili. Le sequenze iniziali di Joe e della sua squadra di dipendenti al lavoro nei boschi sono assai belle, senza una sbavatura, e Nicolas Cage quale Joe è di una credibilità che non ti aspetteresti. Un uomo duro, ma che non ha spento del tutto le sue passioni, un uomo temprato che è stata anche in galera, dal caratteraccio sempre pronto ad esplodere e a metterlo nei guai. Però un uomo buono, un giusto. Un gran personaggio, cui ci si affeziona presto, una figura finalmente positiva di maschio. A Joe si presenta un ragazzetto di quindici anni, Gary, chiedendogli di prenderlo nella sua squadra di taglialegna. Così sarà, e a poco a poco Joe scoprirà, e noi con lui, la brutta storia di famiglia del ragazzo, il padre alcolista e profitattore, la madre terrorizzata e schiavizzata, la sorella altrettanto abusata. Una devastazione. Gary ha voglia di riscatto, di vivere una vita, di tirarsi fuori dalla melma. Joe, in una sorta di paternage, lo aiuterà, lo proteggerà, gli darà per quanto gli è possibile una chance. Seguiranno guai e casini, perché non basta perseguire il bene per ottenerlo. Film virile. Film di silenzi e di parole stentate tra uomini. Ma quanto intercorre tra Joe e Gary, quella paternità sostitutiva solida e pudica insieme, è qualcosa che David Gordon Green sa raccontarci con delicatezza, e con sobrietà virile per l’appunto, senza smancerie. Joe nell’ultima parte di incasina e si accende di toni melodrammatici che rischiano di contraddire l’asciuttezza mirabile con cui fino a quel momento la storia è stata condotta. Ma resta una bella riuscita. Nicolas Cage nella sua migliore performance da parecchi anni a questa parte. Un attore ritrovato. Il ragazzino è Tye Sheridan, che infla il terzo film importante della sua pur giovane carriera. Era il figlio maggiore di The Tree of Life e il protagonista di Mud di Jeff Nichols, non ancora arrivato in Italia, ma gran successo indie negli Stati Uniti. Certo impressiona vedere in questo festival tanti film su ragazzi senza famiglie solide, senza padri o con padri impossibili. Sarà il caso di riparlarne.

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