Venezia Festival 2013: UNDER THE SKIN (Recensione). Ma Scarlett Johansson è un’aliena o un’alienata? Film ‘fuori’, assai fischiato

-1Under the Skin, regia di Jonathan Glazer. Con Scarlett Johansson, Jeremy McWilliams, Lysney Taylor Mackay, Dougie McConnell. Presentato in Concorso.
Under the skinUna donna assai bella (è Scarlett Johansson difatti) si aggira con aria catatonica in una plumbea Scozia, rimorchiando un uomo dopo l’altro. Scopriremo dopo che ne farà. Ma chi è? Un’aliena o un’alienata o entrambe le cose? Jonathan Glazer, quello di Birth, torna dopo nove anni al cinema e realizza uno dei film più folli di questo festival. Un viaggio nell’inconscio tra il fiabesco e l’orrorifico che qui è spiaciuto a molti e strapiaciuto a un pugno di entusiasti. Voto 7

Dopo Birth con Nicole Kidman, che ebbe non calde accoglienze qui a Venezia, Jonathan Glazer ha aspettato nove anni prima di buttarsi in un altro film. Ed eccolo con questo Under The Skin, di nuovo in prima mondiale a Venezia, di nuovo male accolto alla proiezione stampa. Molti i fischi stamattina in Sala Darsena, pochi gli applausi (tra i quali il mio). Però bisogna anche dire che si è subito conquistato uno zoccolo duro di entusiasti che già lo considerano la punta massima e vera di questo concorso, l’unico titolo che si stacchi dal gruppone. Insomma, siam già dalle parti del culto o della devozione, e più i detrattori sbeffeggiano e criticano, più il culto cresce. Certo Glazer gioca pesante e, nonostante abbia per le mani una star come Scarlett Johansson (però, coraggiosa ad accettare un film così fuori), ne fa di ogni per tagliare ogni comunicazione con lo spettatore, spiega poco anzi niente, ci racconta (racconta?) una storia, se generosamente così vogliamo definirla, sconnessa e piena di buchi. O assai ellittica, che suona più chic. Vuoti, anzi voragini, che allo spettatore tocca riempire, sempre che ne abbia voglia. È che non vale la pena sforzarsi di capire l’intreccio e rompersi la testa per rintracciare una coerenza narrativa, perché coerenza non c’è, e tanto vale afferrare i brandelli che si possono afferrare e puntare su una fruizione pre-conscia mettendo in naftalina la parte razionale del cervello. Come un sogno, una visione, un delirio. Se le note di presentazione del film non ci dicessero sbrigativamente che Scarlett Johansson è un’aliena arrivata sul nostro pianeta non lo capiremmo, se non alla fine. Sì, vediamo all’inizio forme e cose che fan pensare a un che di spaziale, sentiamo una voce di donna che ripete parole in inglese come a volerle imparare-memorizzare. L’aliena Scarlett forse (e sottolineo il forse) si prepara a sbarcare sulla terra e a stabilire relazioni con gli umani. Comunque, quel che vediamo sullo schermo è questo: una donna che gira in suv in una Scozia abbastanza plumbea e desolata, nuvoloni e nuvolaglie, nebbiucole, paesaggi naturali e umani da stringere il cuore. Non appena vede un uomo da solo ferma il suv, attacca bottone, cerca di rimorchiarlo, e lo rimorchia. Impresa del resto facilissima per una strafiga come lei, e per il fatto che i sedotti sono uomini qualunque che una così probabilmente non l’hanno mai neanche sfiorata. Più che un’aliena, un’alienata. Come fuggita dallo studio del dottor Freud o dal manicomio di Marat-Sade. Sguardo fisso, mimica facciale ridotta al minimo, la nostra ha un che di robotico (et pour cause) e catatonico che rimandano all’immortale e immarcescibile modello incarnato da Monica Vitti nei film dell’alienazione antonioniana. Forse, pensiamo, è un’alienata con tendenza ninfomane, parola che da un pezzo non si poteva più dire in quanto ritenuta fallocratica e maschilista, ma adesso sdoganata da Lars Von Trer per il suo nuovo film. Se ne fa un bel po’ di maschi, l’aliena-alienata-ninfomane Scarlett, e scopriremo il perché: li attira in trappola e li uccide, annegandoli in un qualcosa che forse è acqua forse no, dove le vittime sprofondano mentre lei ci cammina sopra come Cristo sul lago di Tiberiade. Chissà, forse in questo rimorchiare maschi (anche di massima sgradevolezza fisica) c’è anche un che della Silvana Mangano post-Terence Stamp del pasoliniano Teorema. Poi Scarlett incontra un uomo buono che la aiuta, e forse in lei cambia qualcosa. Forse. E la mantide religiosa pare abbandonare la cattiva strada e convertirsi. Pare. La storia, signori è questa, nient’altro che questa. Jonathan Glazer filma e racconta come planato lui stesso da un’astronave o da un altro pianeta. Il suo sguardo, la sua macchina da presa, trasformano in onirico anche l’assoluto banale quotidiano. Il mondo che ci mostra è quello visto attraverso lo sguardo della sua protagonista. L’intenzione (sto azzardando) potrebbe essere quella di rappresentare, in una sorta di apologo, la femminilità come potenza egemone sul maschile, come forza creatrice e insieme castrante. Tutto appare tra il fiabesco e l’orrorifico. Boschi da cui potrebbero sbucare gnomi e streghe. Luci nella notte ad alterare la percezione e la visione. Nastri d’asfalto percorsi da centauri che forse sono davvero tali. Glazer costruisce un cinema di pura percezione sensoriale e di derive oltre il reale e, se non proprio antinarrativo, certo a-narrativo. Spesso ci azzecca, qualche volta no. Non ho idea di che vita possa avere un film così radicale oltre questo festival. Però massimo rispetto per chi, come Glazer, osa, e osa follemente.

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