Al cinema. Recensione. LA RELIGIOSA, da Diderot: prototipo di ogni storia di conventi e nequizie. Il regista si ispira a Bresson, invece ci voleva Ken Russell

Ripubblico la recensione scritta dopo la presentazione del film lo scorso febbraio alla Berlinale.
20137050_1-700x466La religiosa (La Réligieuse)
, regia di Guillaume Nicloux. Tratto da Denis Diderot. Con Pauline Etienne, Isabelle Huppert, Louise Bourgoin, Martina Geddeck. Belgio. In Competizione.
La religieuse fevrier 2012
L’esemplare racconto settecentesco di Diderot su una povera monachella messa a forza in convento e colpita da inenarrabili sventure. Un j’accuse contro Chiesa e ancien régime, che divenne un film-scandalo di Rivette negli anni Sessanta. Adesso ci riprova un regista belga, che punta sull’austerità e il bon ton della messinscena: sbagliando. Con tutte quelle ghiotte nequizie ci voleva minimo il Ken Russell dei Diavoli. Voto 5 meno20137050_3-700x466
Quando apparve negli anni Sessanta il film di Jacques Rivette La Réligieuse, tratto dal classico settecentesco-illuminista di Denis Diderot, fu scandalo come oggi non sarebbe più possibile e neanche pensabile. Scandalo, perché quella storia di una ragazza forzata a farsi monaca suonava come un veemente atto d’accusa contro la Chiesa, anche se a dar più fastidio fu il lesbismo di una madre superiora. Se ricordo bene, il film in Italia fu ritirato, non so se per mancato visto della censura o per intervento di un qualche zelante pretore, fatto sta che per uscire di nuovo in sala gli si dovette cambiare titolo in Suzanne Simonin: la religiosa. Oggi, a vedere qui a Berlino questo smorto e abbastanza insapore film del belga Nicloux che ripropone la stessa storia, si fa fatica a capire le ragioni di tanto antico scalpore. Il regista impagina correttamente la vicenda della sfortunata Suzanne, figlia illegittima di una madre che non le ha mai perdonato di essere la sua colpa, e poi spinta per motivi economici di famiglia a prendere il velo (che strano, oggi questa locuzione un tempo a noi così familiare suona estranea e connessa all’islamismo). Essendo un tipo ribelle, ne dovrà passare di ogni, prima sotto le sgrinfie di una superiora sadica che la fa rinchiudere, la sottopone a ogni vessazione e tortura psicofisica. Quando poi verrà liberata dalla prigionia, finirà in un altro convento con superiora molto comprensiva, anche troppo, una lesbica che di notte le si infila sotto le coperte dichiarandosi follemente inamorata di lei e implorandola di baciarla e smanacciandola. Però, che odissea, povera Suzanne.
Più che un libro, un libello che Diderot scrisse da illuminista per così dire estremista e militante per sensibilizzare le coscienze del suo tempo sulle turpitudini dell’ancien régime e di santa madre chiesa, sugli effetti perversi dell’alleanza tra trono e altare, sulla repressione dei diritti umani naturali. Un manifesto che davvero incendiò le praterie letterarie, ma che, al di là del suo intento politico, sarebbe diventato anche il ghiotto prototipo di tanti feuilleton sucessivi sulle disgrazie di fanciulle senza sostanza costrette al velo e pure peggio. In fondo, anche il subplot dei Promessi sposi sulla monaca di Monza viene da lì. Il regista belga Guillaume Nicloux sceglie la strada della rappresentazione austera, ripudiando ogni pompa mondana e sberluccicamento e le tentazioni zeffirellesche del period-movie. La protagonista ha un  visino qualunquemente perbene, gli interni son dimessi e spogli, i costumi non hanno un decoro di troppo. Siamo delle parti del cinema penitenziale alla Bresson, e anche di Dreyer, e inizialmente questa scelta di stile sembra pagare. Ma quella della Réligieuse di Diderot, diciamolo, è una storiaccia a tinte fosche, un dramma sanamente popolare e da godere tutto per le sue nequizie e mestizie. Impaginarlo nel minimalismo più ascetico significa castrarlo e impedire allo spettatore ogni godimento. Nicloux non riesce neanche a imprimere l’energia necessaria, a suggerirci la forza vera della ribellione. Il suo è un compitino di gran gusto, anche assai chic, di quelli che piacciono tanto ai critici francesi e francofoni, ma che resta molto al di sotto della forza del testo originario. Imbarazzanti le scene lesbiche della madre superiora Isabelle Huppert piagnucolante e smanacciante sotto la veste della suorina Suzanne, e sghignazzi (sacrosanti) in platea. Louise Bourgoin, già vista nella commedia francese Travolti dalla cicogna, qui è la superiora stronza e si conferma una delle attrici più antipatiche in circolazione, non solo perché fa la superiora stronza.

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