Recensione. Il greco ‘The Eternal Return of Antonis Paraskevas’: quanto fa male l’astinenza da tv. Un film del Milano Film Festival

6776065_origThe Eternal Return of Antonis Paraskevas (I aionia epistrofi tou Antoni Paraskeua – L’eterno ritorno di Antonis Paraskevas), regia di Elina Psykou. Con Christos Stergioglou, Giorgos Souxes, Maria Kallimani, Theodora Tzimou, Syllas Tzoumerkas. Presentato alla Berlinale 2013 nella sezione Panorama e, più recentemente, al Milano Film Festival.1377096156
Un giornalista della tv greca in crisi professionale finge un autorapimento per tornare al centro del circo mediatico. Ma la cosa gli prenderà la mano e il film scivolerà nel drmmatico. Dal nuovo cinema ellenico un plumbeo apologo non sul potere manipolatorio della tv, ma sulla celebrità come droga letale. In una Grecia invernale e tristissima lontana da ogni cliché turistico e parente stretta di quella di Angelopoulos. Voto 79788879_orig
Antonis è una star della tv greca, un giornalista-entertainer che la mattina sveglia il paese e lo accompagna al lavoro con del giornalismo spicciolo e pop, un po’ di gossip, ospiti e collaboratori più o meno parlanti e brillanti. Un Buongiorno Grecia da un’emittente privata che molto bada al sodo, ascolti e pubblicità. Ma un giorno la star Antonis Paraskevas scompare. Si pensa a un rapimento a scopo estorsivo, in realtà è stato lui a organizzare la propria sparizione, per attirare di nuovo l’attenzione mediatica sulla propria persona, non più all’apice da quando suo collaboratore lo ha scalzato alla guida della fascia mattutina. Al Milano Film Festival lo si è introdotto prima della proiezione come un film corrosivo sul sistema tv e il potere manipolatorio, è invece più un racconto e un apologo sulla celebrità come droga, e sull’impossibilità di accettarne la privazione. Se proprio vogliamo trovare qualche antecedente cinematografico, lo dobbiamo rintracciare più nel profetico Network di Sidney Lumet (Quinto potere), dove Peter Finch viene ucciso in diretta per rialzare gli ascolti, che nei tanti pamphlet in forma di doc militanti contro la ‘cattiva maestra’ e la ‘grande sorella’ (penso ai videolibelli di Sabina Guzzanti). Qui si impagina nel massimo dell’austerità, del disadorno, e anche di quel triste-sordido che sembra ormai essere il tono dominante del nuovo cinema greco, un cinema che ha fatto della depressione, della catatonia, della non esistenza, dell’implosione emotiva il proprio marchio di riconoscimento. L’eterno ritorno di Antonis Paraskevas si attiene puntigliosamente al modello. Dialoghi prossimi allo zero, anche perché per gran parte del film vediamo solo il protagonisti aggirarsi in un tetro e vuoto albergo fuori stagione, e inselvatichirsi man mano trasformando la sua faccia-icona televisiva in quella di un uomo lupo ai confini dell’umano. In questa parte il film trova la sua oscura e limacciosa forza e i suoi momenti migliori. Come quando Antonis si rivede ossessivamente il video delle sue migliori performance, la conduzione della notte pazza dell’Euro (chi mai avrebbe immaginato i problemi di oggi), la votazione dalla giuria greca dell’Eurofestival. L’hotel triste fupri stagione ricorda quello – là si era in Portogallo – del meraviglioso Lo stato delle cose di Wim Wenders, un luogo svuotato e ridotto a ricettacolo di anime e corpi vaganti nel nulla, contenitore di paure e idiosincrasie dei pochi che lo percorrono. C’è perfino un dettaglio che, chissà se voluto o casuale, stabilisce un nesso tra questo film greco e quello wendersiano, ed è Paul Getty Jr., nello Stato delle cose interprete e se ricordo bene anche produttore, in L’eterno ritorno di Antonis Paraskevas evocato dalla tv greca come caso di rapito eccellente. Quando poi Antonis decide di aumentare la posta mediatica in gioco e l’attesa della sua liberazione mozzandosi un dito, onde drammatizzare l’evento e depistare chi potesse sospettarlo, non si può non pensare subito all’orecchio tagliato al povero ostaggio Paul Getty Jr e spedito al nonno per convincerlo a sganciare i soldi. Un film duro, impietoso, così scabro da risultare perfino lugubre. Antonis finisce col restare intrappolato nella messinscena che lui stesso ha escogitato, e sarà dramma. Storia non nuova, ma piuttosto innovativo e inusuale è il linguaggio usato dalla giovane regista, una che in tv ha lavorato e mostra di conoscerne bene i meccanismi. Massimo rigore, quasi totale assenza di parole, se non quelle provenienti dagli schermi tv. Narrazione al limite dell’antinarrativo, e con molte ellissi, come usa oggi nei prodotti chic-autoriali (e se lo spettatore non capisce e perde qualche brandello, peggio per lui). Una location che man mano si fa astratta e metafisica, benissimo resa nei suoi corridoi vuoti, nei suoi saloni e nelle sue stanza ingombre di arredi brutti e assurdi. Una Grecia fosca, senza sole, opposta ed estranea a quella del turismo di massa. Paesaggi da stringere il cuore, che ricordano quelli di un altro greco che del suo paese non fotografava quasi mai le acque e la luce, ma la caligine, la polvere, il clima soffocante, la pioggia, la neve della parte più interna e balcanica, Theo Angelopoulos. Il limite di questo pur notevole film sta nella sua programmaticità e dimostratività, nel suo essere narrativamente conchiuso e dunque in gran parte prevedibile nei suoi sviluppi, senza vie di fuga e possibile sorprese.

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