Tutto su mia madre, Cielo, ore 21,10.
Il maggior successo di sempre di Pedro Almodóvar, 70 milioni di dollari (del 1999) incassati worldwide, Oscar come migliore film straniero (anche se non riuscì a portarsi via la Palma d’oro a Cannes, che andò ai fratelli Dardenne per il bellissimo Rosetta). Tutto su mia madre sdogana definitivamente il Maestro della Mancha da autore di nicchia, per quanto amplissima, ad autore mainstream quasi per famiglie. Nel film ci sono tutti gli elementi tipici del suo cinema, quelli che lo rendono riconoscibile e unico: le contorte storie familiari, le disgrazie, i lutti, le trasgressioni sessuali con abbondanza di travestiti e transgender (compreso un padre che cambia sesso), però depotenziati e aggraziati (non a caso il personaggio chiave si chiama Agrado) a uso del pubblico medio. Questo è il pregio e anche il limite di un film furbissimo e perfetto, un mélo costruito senza il minimo sbandamento, una macchina narrativa irresistibile. Fin troppo. Storia di una madre, di un figlio perduto troppo presto, di un coro di amiche e amici molto Almodovar-style, e di un padre che incredibilmente ritorna.
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