Recensione. GLORIA: dal Cile un gran bel ritratto di donna. Un film che, lanciato a Berlino, sta conquistando tutti i mercati

Gloria di Sebastian Lelio è da giovedì 10 ottobre nei cinema italiani. Ripubblico la recensione scritta subito dopo la sua presentazione lo scorso febbraio al festival di Berlino, dove la protagonista Paulina Garcia avrebbe poi vinto il premio come migliore attrice. Gloria è candidato all’Oscar per il migliore film in lingua straniera.20132062_1-700x292Gloria, regia di Sebastian Lelio. Con Paulina Garcia, Sergio Hernández. Cile. A116_C002_0101UJRitratto di una quasi sessantenne che non vuole mollare. Ma non è il solito film-manifesto e a tesi sul diritto al piacere della terza età. Il regista cileno Sebastian Lelio ha qualcosa di Cassavetes e riesce a restituirci la vita vera – passioni, speranze, delusioni – della sua Gloria. Gran prova dell’attrice Paulina Garcia, che a momenti ricorda la migliore Gena Rowlands. L’applauso più lungo della Berlinale. Vincerà qualcosa? Voto 7+A066_C004_0101PS.0001291F
Di Sebastián Lelio avevo visto al festival di Locarno 2011 L’anno della tigre, il suo primo lungometraggio, e non mi era piaciuto niente. Pretenzioso, arty, pure con inserti surreal-ispanici abbastanza indigesti. Invece, sorpresa, questo suo terzo lungo, prodotto dal guru del nuovo cinema cileno Pablo Larrain (oggi tra i registi più bravi in circolazione), abbandona le malsane altitudini dell’autorialità più smorfiosa, smaccata ed esibita a favore di un cinema-cinema assai narrativo, semplice ma per niente banale e vacuo, tracciando un ritratto di donna tra i più riusciti degli ultimi anni. Un film che al press screening è piaciuto a tutti scatenando alla fine un applauso di quelli che raramente la stampa internazionale, di suo abbastanza snob, concede. All’inizio Gloria, dal nome della sua protagonista, non sembra granchè. Anzi, sembra proprio l’ennesimo film furbetto sulla terza età, su quella generazione assai matura che ormai sta diventando un vero e proprio genere. Prima Marigold Hotel e E se vivessimo tutti insieme?, poi Quartet, tutti gran successi al box office internazionale. Ecco, siamo alla solita santificazione delle pantere grigie-sempre-attive, mi son detto, però man mano che il film andava avanti ho cominciato a ricredermi.
Gloria è una signora di Santiago, Cile, di anni 58 ben portati (anche se quegli occhialoni la fanno somigliare, diciamolo, alla Tootsie di Dustin Hoffman). Lavora ancora, è divorziata da molti anni, ha due figli ormai fuori casa, un nipotino e un altro che arriverà tra qualche mese. Nonna? Sì, nonna, però non ha per niente voglia di mollare, Gloria, e la sua fetta di vita, anche di vita goduriosa, la vuole aassaggiare ancora, altrochè. Non si fa mancare niente, va a ballare e non si vergogna a cuccare signori (della sua età) con cui passare qualche ora a letto insieme. Tutto molto ovvio. Invece poi il film decolla, sprigionando un’intensità, una capacità di penetrare nel personaggio insospettate.
Gloria è vitalità e stanchezza insieme, è voglia di spassarsela ma anche delusioni e frustrazioni accumulate, Gloria è una donna vera, mica il personaggio-manichino di un film-manifesto e ideologico sui diritti e il diritto al piacere dei vecchi e simili menate. Tutto è incredibilmente verosimile e credibile in questo film. Gloria in discoteca incontra un distinto signore di qualche anno più anziano di lei in procinto di divorziare, ma con ancora addosso tutto il peso e la responsabilità della famiglia, moglie e figli che senza di lui e senza i suoi soldi non se la caverebbero. Incomincia una storia, e il regista non ci risparmia (giustamente) le scene di sesso (e se il corpo di Gloria è ancora piacente, quello di lui no, non lo è, e un corpo così anziano in amore me lo ricordo solo in un film di Christophe Honoré). Ma non sarà così facile, anzi la storia sarà difficile, anzi sarà impossibile. Il film ci mostra il ritorno di Gloria all’amore, all’illusione di un amore e poi alla delusione, ci mostra Gloria barcollare, anche piangere, ma poi rieccola in piedi. C’è nella mano di Sebastian Lelio, nel modo in cui dirige e lavora sugli attori e soprattutto sulla sua protagonista, qualcosa di John Cassavetes, e l’attrice Paulina Garcia, straordinaria, ricorda in certi momenti la migliore Gena Rowlands. C’è, di Cassavetes, la capacità di cogliere la vita nel suo essere e nel suo farsi, nella sua mutevolezza, nel suo scorrere e fluire. Sullo sfondo, il Cile di oggi abbastanza affluente, ma che non dimentica, non può dimenticare (lo si nota nelle parole dell’amico sociologo) il suo passato. Paulina Garcia si candida al premio come migliore attrice, e sarà difficile portarglielo via. Gran finalone sulle note di Gloria, versione spagnola cantata da Umberto Tozzi. Applausi.

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