Un angelo alla mia tavola, Rai Movie, ore 1,15.
Il Mark Cousins che ha provato nel suo monumentale e discutibile The Story of Film di raccontare il cinema dalle origini a oggi – 15 episodi prodotti per la Bbc, anche in Dvd – nella puntata sugli anni Novanta tira fuori anche questo film issandolo tra i più significativi del decennio. Mentre in altre occasioni sbaglia o prende colossali cantonate, stavolta bisogna dire che ci azzecca. Un angelo alla mia tavola segnò nel 1990, con la sua proiezione al Festival di Venezia dove vinse il Leone d’argento, la scoperta e l’affermazione della neozelandese Jane Campion e del suo cinema muscolar-femminile. Mai s’era vista una macchina da presa che, come la sua, ingaggiasse così furiosamente un corpo a corpo con le figure femminili, quasi a voler restituire palpabilmente, fisicamente, con concretezza materica, le turbe della loro mente, dell’anima, della psiche. Un angelo alla mia tavola ricostruisce a modo suo, molto autorialmente per fortuna, la vera storia, e storia tormentatissima, della scrittrice neozelandese Janet Frame, diagnosticata quale schizofrenica, ricoverata, rinchiusa, sottoposta a duecento elettroshock, salvata per miracolo dalla lobotomia. Tutto un dentro e fuori la follia, l’alterità psichica, o un bordeggiarla perigliosamente, che Campion mette in scena carnalmente, abolendo ogni stacco e confine tra sè, la macchina da presa e il personaggio. Cinema anche femminile e, ebbene sì, femminista, interessato a raccontare vite difficili, sofferenze, calvari e martiri delle donne, anche se per fortuna prevale la forza della narrazione e l’ideologia se ne sta in disparte.
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