Elizabeth, Iris, ore 21,11.
Così Elizabeth riuscì a salire sul trono d’Inghilterra sbaragliando rivali e vari congiurati. Racconto dell’ascesa, cui molti cercarono di resistere, di una regina che poi sarebbe diventata grandissima, madre della sua patria, la leggendaria regina vergine Elizabeth I (essendo la seconda l’attualmente in carica). Di versionie cinemtraografiche della stessa storia se n’eran fatte parecchie, ma questa del 1998, per opera dell’indiano e bollywoodiano regista Shekhar Kapur, rifonda tutti i modi di rappresentazione e si candida a nuovo paradigma. Il classico film storico acquista un turgore – visuale, e anche melodrammatico – mai visto prima, con un che di visionario, di allucinato, per via dei barocchismi e delle sfrenatezze luccicanti provenienti dal cinema popolare indiano. Lo strapotere figurativo ha la meglio su tutto, depsicologizzando (per fortuna) i personaggi e riproponendoli come pure icone, come simboli di un immenso gioco dei tarocchi. Elizabeth diventa regina, giovanissima, dopo la morte della cattolica Mary. Ripristinerà l’egemonia anglicana a corte e nel paese, respingerà le richieste di matrimonio provenienti da mezza Euroipa innamorata com’è del cortigiano Robert Dudley, fronteggerà complotti scozzesi e papisti per rovesciarla. Il film che scopre e lancia l’australiana Cate Blanchett. Con Joseph Finnies nel ruolo del favorito Dudley, Geoffrey Rush, John Gielgud, perfino un Daniel Craig molto prima di Bond. Più i francesi Vincent Cassel (memorabile come bisessuale Conte d’Anjou), Fanny Ardant e, ebbene sì, pure la stella calcistica Eric Cantona, che comincia qui un’onorata carriera cinematografica. Succeesso enorme, tant’è che di lì a qualche anno arrivera un sequel, Elizabeth, The Golden Age, altrettanto bello.
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