Cuore di mamma, di Salvatore Samperi. Iris, ore 0,49.
Film pazzesco, oggi quasi impensabile, fors’anche inguardabile. Puro prodotto del sessantottismo italiano e del cinema contestativo-protestatario che vi fiorì intorno. Lo gira Salvatore Samperi nel 1969 dopo l’immenso e inaspettato succcesso del suo film d’esordio Grazie zia, prendendo ancora una volta di mira la rispettabilità borghese, i suoi feticci, e la famiglia, vista come simbolo e incarnazione di tutto ciò che nella visione rivoluzionaria del tempo va abbattuto. Una pura invettiva fatta cinema sull’onda del gidiano ‘Famiglie vi odio!’. Storia di una madre borghese, Lorenza, del marito industriale, di tre figli, di cui il più grande è già un piccolo mostro nazistoide che ne combina di ogni, compreso annegare il fratellino. Lei flirterà con un gruppo di compagni rossissimi e ultrarivoluzionari. Finirà tutto in un macello. Truculentissimo. Con derive surrealiste alla Bunuel-Ferreri. Allora dai puri e duri fu accusato di opportunismo, di cavalcare le voglie ribellistiche della società per fare soldi al box office. Fu invece un insuccesso, e resta oggi un prezioso reperto di quei momenti, un qualcosa che ci riporta il profumo e il lezzo dello spirito del tempo. Carla Gravina, bravissima, è la protagonista, Philippe Leroy è il marito nemico di classe. Pure con una scena lesbica tra Gravina e Beba Loncar! C’ha tutto pe essere un culto.
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