Torino Film Festival. SUZANNE (recensione). Un mélo sobrio e proletario, una discesa agli inferi per amore

Suzanne, di Katell Quillévéré. Con Sara Forestier, François Damiens, Adèle Haenel, Paul Hamy. Sezione Festa mobile.SUZANNE_1Sud della Francia. Suzanne molla tutto, anche suo figlio, per seguire Julien e infilarsi con lui in una vità di marginalità criminale. Ritratto femminile fatto da una regista che non si abbandona a sentimentalismi. Solo con una qualche caduta e ovvietà nella parte finale. Si rivede Sara Forestier, lanciata a suo tempo da Kéchiche in La schivata. Voto 7SUZANNE_2Bel film, anche se purtroppo (come già ampiamente scritto nel mio post su Frances Ha) uno dei molti non inediti di questo TFF, per la precisione già dato a Cannes alla Semaine de la Critique. Vita di Suzanne, vita alla deriva, fino a che lei si troverà di fronte al classicissimo bivio e dovrà scegliere. Film di esistenze e durezze proletarie, di quell’Europa Infelix che lavora e suda per un pugno di euro, eternamente a rischio disoccupazione e anche peggio (malattia, carcere, discesa agli inferi sociali). Un uomo rimasto precocemente vedovo si ritrova con due figlie, la maggiore, Suzanne, introversa e inquieta, l’altra, Maria, più forte, una combattente, una che non si piega. Siamo nel Sud francese, vicino a Marsiglia, la città crocevia di ogni etnia, mondo, cultura, destino. Città di merci e vite in transito. Suzanne resta incinta, si tiene il bambino, non dirà mai di chi è figlio. Sarà il padre di Suzanne, lavoratore sui Tir su e giù per la Francia, a farsi carico anche di quel nuovo arrivo in famiglia. Poi la ragazza incontra Julien, uno che di mestiere fa lo scommettitore alle corse di cavalli, cioè nessun mestiere, cioè un marginale destinato a restare ai margini. Ma Julien è bello e seducente. Suzanne se ne andrà con lui, mollerà il bambino, che verrà poi sottrato al nonno e affidato dai soliti orridi e impiccioni servizi sociali a una famiglia medioborghese. Il film è Suzanne, è la sua deriva, il suo lanciarsi nel vuoto per stare con quell’uomo che lei sente essere il suo uomo. L’amore come passaggio all’inferno. Seguiranno malavita, carcere, trasferimento in Marocco, narcotraffico. Ma con Maria e il padre il legame non si spezzerà mai. La regista Katell Quillévéré racconta benissimo, a ciglio sempre asciutto, come certe gran donne con le palle del cinema inglese di oggi, Andrea Arnold o Clio Barnard, osserva i suoi derelitti personaggi con una pietas mai piagnona. Si sentono le lezioni dei Dardenne e di Ken Loach, ovviamente, ma di suo Quillévéré aggiunge un’ulteriore secchezza, un’asciuttezza non così diffusa nel cinema delle donne. Con ampie ellissi, che le consentono di velocizzare il racconto e attraversare in un attimo intere stagioni dei suoi personaggi. Quale Suzanne si rivede finalmente Sara Forestier, gran scoperta di Abdellatif Kéchiche che la volle ragazzina in La schivata, una meraviglia di film, il suo migliore fino, naturalmente, a La vie d’Adèle.

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3 risposte a Torino Film Festival. SUZANNE (recensione). Un mélo sobrio e proletario, una discesa agli inferi per amore

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