La mafia uccide solo d’estate, di Pierfrancesco Diliberto (Pif). Con Cristiana Capotondi, Pierfrancesco Diliberto, Alex Bisconti, Ginevra Antona, Claudio Gioè, Ninni Bruschetta. Torino 31 (Concorso).Un piccolo, fragile film che cerca di raccontare la peggior stagione dei delitti di mafia (Boris Giuliano, Chinnici, Borsellino, Falcone, Salvo Lima) da un punto di vista laterale, inserendoli – delle volte improbabilmente – nella storia del palermitano Arturo innamorato di Flora fin dai banchi di scuola. Qualche volta funziona, molto spesso no. Battute e trovate non così robuste, e un intento didattico-didascalico-predicatorio da vecchio cinema civile appena mascherato dal sorriso. Voto 5 e mezzo
Mai fidarsi di quanto si dice e scrive di un film prima che venga proiettato. Sarà un film da ridere sulla mafia, perché anche di mafia si può ridere, che poi una risata li seppellirà tutti (i mafiosi). Questo più o meno quanto si leggeva un po’ di qua e un po’ di là di La mafia uccide solo d’estate, cine-esordio registico di Piefrancesco Diliberto in arte Pif (che si tiene per sé anche il ruolo d’attore principale). Ridere e far ridere della mafia? Però, mica robetta. Impresa che avrebbe fatto tremare anche titani come Billy Wilder e Ernst Lubitsch. Poi, una volta visto, ti rendi conto che quello di Pif non è il grottesco mafia-movie che ci si aspettava, o si temeva, ma una cosina gentile e garbata, fin quasi all’evanescenza, che ha come primo obiettivo quello di ricordare al mondo e agli spettatori, con intento didascalico-didattico da cinema civile di una volta, la peggior stagione dei delitti di Cosa Nostra a Palermo: Chinnici, Dalla Chiesa, Boris Giuliano, Salvo Lima, Falcone, Borsellino, per citarne solo una parte. Solo che, piuttosto che in un classico o anche meno classico documentario, quegli assassinii vengono raccontati da un punto di vista laterale, abbastanza ingegnosamente inseriti in una trametta narrativa di totale finzione. Che è poi la storia di Arturo, palermitano innamorato di Flora fin dai banchi di scuola. Tra baruffe, incomprensioni, avvicinamenti e distacchi dei due veniamo anche a contatto con la Storia, gli omicidi eccellenti di cui sopra. Qualche volta l’operazione funziona, spesso non funziona per niente e le forzature sono evidenti. Non funziona che l’Arturo bambino si infatui di Andreotti dopo averlo visto in tv e ne faccia un’icona personale (il che consente, ovvio, di rispolverare la leggenda nera di Andreotti satanico protettore di Cosa Nostra). Che poi, più che l’Andreotti storico, a venire preso a riferimento è quello riplasmato dal Paolo Sorrentino di Il divo. Si osservi solo il travestimento a carnevale di Arturo, clone non dell’originale, ma del Divo Giulio interpretato da Toni Servillo (ahi, Pif, sono errori che non si fanno). Funziona invece la trovata dello scolaro Arturo che vince un concorsino da giornalista per un mese e va a intervistare Dalla Chiesa, funziona il Jampierr tremendo intrattenitore di una tv locale che mentre va a casa di mamma si vede scoppiare sotto gli occhi l’autobomba che fa fuori Borsellino. Non si ride quasi mai quando si dovrebbe ridere, al massimo si sorride, mentre gli attentati mafiosi puntualmente elencati fan gelare ancora il sangue. Che dire? Un piccolo film, forse di pretese troppo alte e sproporzionate. Si sente la mancanza di una sceneggiatura forte. Non basta un discreta idea per costruire un film, non basta allineare una stringa di battute neanche così riuscite. Penso a quelle, tremende, su Ivana Spagna scambiata da Totò Riina per la Spagna o del killer-macellaio che deve tenersi su con un paninozzo perché sta lavorando duramente (e poi lo vediamo sciogliere nell’acido un corpo). Ma si sa, questo della sceneggiatura debole, debolissima, è un annoso problema del nostro cinema. Però, bravo il ragazzino Alex Bisconti quale giovane Arturo.
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