Torino Film Festival. CLUB SÁNDWICH (recensione). Dal Messico un coming-of-age con un ragazzino diviso tra il corpo della madre e quello di una coetanea

Club Sándwich, regia di Fernando Eimbcke. Con Maria Renée Prudencio, Lucio Gimenez, Leonel Tinajero. Torino 31 (Concorso).CLUB-SANDWICH_2Uno dei molti coming-ofe-age di questo festival, strapieno di ragazzini e ragazzine in transito verso l’età adulta. Hector ha quindici anni e una fin troppo forte intimità fisica con la madre che si spezzerà quando all’orizzonte spunterà una ragazzina. Corpi goffi, privi di ogni glamour, un certo qual clima livido (e pure laido) tra Reygadas e Ulrich Seidl. Un piccolo film già molto consapevole e con una riconoscibile impronta stilistica. Voto 7CLUB-SANDWICH_1
Il cinema messicano è ormai una media potenza da festival, a Cannes, per dire, si è portato a casa il premio per la miglior regia con Heli (gran film davvero) e un altro importante a Un certain regard con La jaula de oro. Un cinema con un bel gruppo di autori deciso a tutto, vogliosi di esplorare molte strade e linguaggi. Questo Club Sándwich lo possiamo ascrivere, seppur con una certa forzatura, alla scuola di uno dei signori del cinema messicano, Carlos Reygadas, quello del non dimenticabile – in ogni possibile senso – Post Tenebras Lux. Ossessivi interni familiari, corpi esibiti alla macchina da presa anche nella loro laidezza e eventuali imperfezioni, un erotismo diffuso con un che di malsano se non addirittura patologico, una sorta di catatonia, di congelamento espressivo. E se un altro padre nobile (almeno nel senso di famoso, premiato, riconosciuto) è intuibile dietro questo piccolo ma non così minimo film messicano è Ulrich Seidl, anche se dell’austriaco qui non c’è l’aperto disprezzo verso i propri personaggi, e un filo più di empatia. Hector, quindici anni o giù di lì, un corpo goffo ma percorso da pulsioni e fremiti continui, è in vacanza-sconto in un hotel da una qualche parte insieme alla madre Paloma, madre single ancora giovane e con ancora parecchie risorse da spendere sul mercato della seduzione. Dormono nella stessa camera, una notte perfino nello stesso letto, condividendo molto, in un’intimità neanche così innocente. I loro corpi si toccano in continuazione, lei gli strizza i brufoli, lui la sfiora, le dice che la preferisce con il costume rosso, lei dice che lo preferisce con i boxer, si dicono reciprocamente ‘ti amo, ti voglio bene’. Un’intimità fisica rischiosa, a un passo dall’incesto, che il regista ci fa continuamente balenare ma che non succederà, e però questa storia mamma-figlio un che di perverso ce l’ha, e impronta il film, ne è il substrato per ogni successivo sviluppo drammaturgico. Hector si masturba indossando il reggiseno rosso di mamma, finché il suo desiderio troverà un’altra donna su cui appoggiarsi, una ragazzina coetanea, piuttosto normale nella sua piatta, stolida avvenenza, piuttosto goffa, stanziata nello stesso albergo col vecchio padre e la sua nuova, giovane moglie. Tentativi dei due di stare soli, di fare un po’ di sesso, tentativi di lei di masturbarlo, ma salta sempre fuori mammina (di lui) a interrompere gli approcci. Mamma che, consapevolmente o meno, è gelosa di quel suo figlio che si sta man mano allontando da lei, dal suo corpo, verso un altro corpo. Finché si arriverà a un esito necessario quanto crudele. Un film girato con pochi mezzi, assai consapevole, che racconta la sua storia senza la minima divagazione o disgressione, con la massima economia narrativa. Non c’è una scena di troppo in Club Sándwich, che procede rigoroso come un teorema verso l’inevitabile conclusione.

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