Vandal, regia di Hélier Cisterne. Con Zinedine Benchenine, Chloé Lecerf, Emile Berling, Jean-Marc Barr, Marina Foïs. Torino 31 (Concorso).
Incomincia come tanti film sui ragazzi nati in Francia da genitori arabi, sospesi tra due identità, magari tentati dal ribellismo. Invece poi Vandal prende un’altra piega e si inoltra nell’universo parallelo degli writer e delle loro mitologie graffitare. Anche questo un comin-of-age, che riesce però a schivare l’ovvio. Voto 7
Il titolo e l’inizio del film lasciano presagire, se non il peggio, certo il già visto, lo scontato, l’ovvio. Pensi insomma al solito film francese di denuncia sulla seconda generazione nata in Francia da genitori maghrebini, con relativi ribellsmi, incazzature, vandalismi, banlieu in fiamme e magari pure arruolamenti nella jihad. Invece grazie a Dio Vandal svolta da tutt’altra parte, in direzione di un cinema action con derive verso la street-art e gli indie movies americani. Pezzi diversi di cinema, e cinema diversi, anime e ispirazioni diverse, che però il regista riesce a tenere insieme con un bel mestiere, e non era mica un compito facile. Chérif è il solito adolescente difficile, pessimi risultati a scuola, perennemente a rischio (micro)criminalità. La madre, una francese che l’ha avuto da un algerino, adesso sta con un nuovo compagno, stavolta francese come lei, e Chérif non ci si trova bene. Lo spediscono a Strasburgo, dove abita il padre con la sua nuova compagna (francese), e però lui andrà in casa dello zio, disposto a ospitarlo e a garantire per lui e vigilare su di lui nel percorso di recupero che i servizi sociali (o il tribunale dei minori, non ho capito bene) hanno imposto a Chérif. Lo sguardo del regista ci mostra, senza però addentrarsi in spieghe e retroscena, il mondo delle coppie miste lui maghrebino-lei francese, e son coppie in cui la parte maschile sembra perfettamente integrata, senza nostalgie identitarie o tentazioni fondamental-religiose. Eppure. Eppure non dev’essere tutto così semplice, se poi il padre e la madre di Chérif si son separati, se lo zio di Chérif e la moglie sono anche loro nel pieno di una crisi coniugale. Intanto Chérif va alla sua scuola di fomazione professionale, l’obiettivo è diventare muratore, come il padre, e proprio nel cantiere dove lavora il padre va a fare il suo stage. Scazzi con i compagni di scuola, insoddisfazioni per quel mestiere, e uno sbandamento, anzi innamoramento, per la compagna Elodie, un maschiaccio che studia da muratore ma che ha le idee ben chiare, lei vuole andare all’università, uscire da quella vita di merda. Tutto sembra pronto per la solita esplosione di rabbia, per uno Chérif avviato sulla strada del vandalismo. Ma interviene il cugino, il figlio degli zii che lo ospitano, che sembra un ragazzino perbene e assai qualunque. E che invece ha una doppia vita, di giorno studente e figlio modello, di notte scatenato writer armato di bombolette insieme ai suoi compagni della banda Ork (“le orche sembrano animali inoffensivi, ma si muovono in branco e sanno essere feroci”). Chérif vien subito coinvolto nel gruppo, e quella realtà notturna, quella guerriglia artistica nelle aree più oscure della città gli entrano subito nel sangue e nel cervello. Il mito per tutti loro graffitari è Vandal, uno che lavora da solo, il più bravo, il più coraggioso, che si muove come un funambolo tra i tetti, scala palazzi, rischia la vita per lasciare il suo segno con le bombolette. Nessuno sa chi sia, tutti lo vorrebbero conoscere. Sarà proprio Chérif a scoprire la sua tana. Poi succederà qualcosa che è meglio non rivelare, ma che darà a Chérif l’identità e l’orgoglio che non aveva mai avuto, che lo farà sentire qualcuno. Io, che detesto i graffiti (mi mettono addosso una tristezza immensa e aggiungono solo squallore a ambienti gà squallidi e tristissimi in proprio), dopo un iniziale fastidio mi sono invece appassionato a Vandal. Che ha il gran merito di dirci qualcosa di diverso sull’adattamento-disadattamento dei ragazzi di seconda generazione, riuescendo anche a fare del buon intrattenimento e spettacolo.
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