Dicono i suoi detrattori, non pochi, tra i quali parecchie donne: ma è una ragazzina, è sciapa, è goffa, è acerba, è bravina sì, ma si deve ancora fare, ma come han potuto darle l’Oscar? Invece no. Jennifer Lawrence è un cataclisma ciclonico, come sui nostri schermi grandi non si vedeva da un pezzo, un fenomeno naturale con un che di supernatural, una che è fatta di materia stellare, come le star vere intendo, quelle del passato remoto, quelle della Golden Hollywod che facevan trepidare e sognare e sembravano venire da un altro mondo, una sfera superiore e dunque mettevano soggezione, ed esigevano solo adorazione e devozione. Dive. Dee. Per dire, Joan Crawford, Liz Taylor, Barbara Stanwyck. Lei si compone di quella cosa lì, ecco. Eppure, è vero, della ragazzetta o ragazzotta americana qualsiasi conserva ancora molto, è carnale e anche ordinaria, sgraziata e con una certa volgarità. Come se questo lato rozzo e grezzo e goffo fosse rimasto lì per meglio far rifulgere, per opposizione e contrasto, la sua sublimità. Ha 23 anni e tutte le età, come se – e anche questo è segno di eccezionalità – fosse lei a controllare e maneggiare stregonescamente il tempo e non viceversa, come accade ai mortali. E’ ragazzina in Hunger Games 1 e 2, è donna matura e perfino vedova in Il lato positivo, è donna vissuta e già separata e già madre nell’imminente e assai notevole American Hustle – L’apparenza inganna* di David O. Russell (non perdetevelo, esce il giorno di Capodanno, e non è un cattivo modo per incominciare). In Un gelido inverno, il film che la rivelò e subito la piazzò tra le candidate all’Oscar, è tutto, prefigurando tutti i propri futuri ruoli, è un’adolescente che si prende in carico la famiglia e fa da madre, oltre che ai fratelli, alla sua stessa madre. Impressionante. Di lei impressionano la sicurezza e la naturalezza con cui si muove nello spazio filmico. Che quando arriva il resto si pietrifica, scompare. Guai a farle da partner in una scena, finisci inesorabilmente col soccombere e ridurti a sparring partner. Vederla in American Hustle come riesce a soverchiare nelle loro poche scene insieme una brava molto e pure con le palle come Amy Adams. Quanto a Hunger Games, che volete, gli altri attori ragazzini sono ectoplasmi al suo cospetto, esistono solo come sua proiezione, in quante lei, esistendo, li irradia della propria energia e luce. Ho finito col soccomberle definitivamente davanti, io che l’avevo amata già da Un gelido inverno, quando in Hunger Games – La ragaza di fuoco compare, alla festa, con quel make up tra l’egizio e l’assiro-babilonese che la totemizza e sacralizza e dà corpo e immagine alla sua essenza di Iside-Ishtar ritrovata. Non puoi non pensare in quel momento a Theda Bara, e alla Liz-Ceopatra. Jennifer Lawrence viene da lì, da quella galassia, cosa volete che le facciano le critiche degli invidiosi e dei malmostosi. Anch’io, che pure m’ero dispiaciuto l’anno scorso che avesse portato via l’Oscar a Emmanuelle Riva, a questo punto mi arrendo.
* per questo film Jennifer Lawrence ha apena avuto la nomination ai Golden Globes nella categoria migliore attrice non protagonista.
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4 risposte a Elogio di JENNIFER LAWRENCE. E perché oggi è la numero uno