Stop the Pounding Heart, un film di Roberto Minervini. Con Sara Carlson, Colby Trichell, Leeanne Carlson. Premio speciale della giuria nella sezione Documentari internazionali al Torino Film Festival 2013. Film vincitore di FilmMaker Festival 2013 a Milano.
Distribuito da I Wonder Pictures. In programmazione in questi giorni a Milano al cinema Beltrade, a Roma e a Mantova.
Uno dei documentari più rilevanti del 2013. Lanciato a Cannes 2013, premiato al Torino Film Festival e a Milano FilmMaker. Marchigiano di nascita, ma operante in America, Roberto Minervini con Stop the Pounding Heart penetra in una famiglia di piccoli allevatori texani di rigorosissima e pervasiva fede presbiteriana, e ne registra il vivere e il sentire quotidiano. Con un personaggio che si impone su tutti, quello della figlia Sara, di bellezza preraffaellita. Fim avvolgente, cui è difficile sottrarsi, ma come incompiuto, sospeso tra il cinéma-vérité e la voglia di raccontare una storia. Ambiguità che è di molti doc di nuova generazione. Voto tra il 6 e il 7Strana storia, e interessante molto, quella di Roberto Minervini, anni 43, marchigiano di Monte Urano, approdato in America dove aver conosciuto in Spagna una ragazza di nome Denise (ora sua moglie e anche collaboratrice, come si evince dai credits dei suoi film). Poi lì scuole di cinema, compreso un corso (l’ha detto lui presentando a Milano a FilmMaker Stop the Pounding Heart) con il documentarista D.A. Pennebaker, quello per intenderci di Monterey Pop, e la scoperta che il cinema era la strada sua, la cosa che gli piaceva fare. Saltando qualche pasaggio arriviamo ai suoi tre lungometraggi, documentari sì però con qualche elemento di storytelling, tutti girati in Texas, una vera trilogia composta da The Passage, Low Tide e adesso Stop the Pounding Heart. Il secondo presentato a Venezia 2012 a Orizzonti, il terzo invitato quest’anno nientemeno che a Cannes 2013 fuori concorso nella sezione Special Screenings. Inteso proprio come Cannes selezione ufficiale, non Quinzaine o Semaine. Bel colpo Minervini, e complimenti. Da lì Stop the Pounding Heart è partito per un lungo giro tra festival, vincendo recentemente a Torino il premio della giuria nella sezione Documentari internazionali e subito dopo il massimo premio a Milano FilmMaker. Dove l’ho visto finalmente, dopo averlo mancato a Cannes (e a Torino). Con lui che ha introdotto e poi commentato, presentandosi all’Oberdan con un giubbotto di gusto più texano che italo-marchigiano. Sicché, come lo dobbiamo considerare ormai Minervini, un nostro autore o no? battente bandiera italiana o americana? Propenderei per la seconda, il suo cinema mi pare inequivocabilmente made in Usa, per storia produttiva e per quello che racconta, e fors’anche per il come. Difficile rintracciare qui, dalle nostre parti, tra i nostri prodotti filmici, qualcosa che abbia una pur vaga parentela con Stop the Pounding Heart.
Per realizzarlo, Minervini si è letteralmente infilato – embedded – all’interno di una famiglia dell’area rurale del sud-ovest del Texas, dopo averla incontrata per caso al mercato e conquistato la sua fiducia. Famiglia di piccoli allevatori, no, non bovini (non pensate alle mandrie dei western), perlopiù capre e pecore. Famiglia che a noi pare venuta da un passato remoto, come incapsulata nel suo tempo e nel suo spazio, per certi versi perfino esotica, immersa com’è in una fede cristiano-presbiteriana che tutto pervade, con la Bibbia presa a costante riferimento e bussola per orientarsi nei tumulti della vita, la presenza di Dio avvertita ed evocata in ogni frangente. Con papà e mamma che l’istruzione la danno loro ai figli, acciocché non vengano toccati e intaccati da idee eretiche in una scuola pubblica. Perfino quando si partorisce lo si fa in casa, con una levatrice della comunità. Tutto, almeno a noi spettatori smagati dell’Europa, sembra cristallizzato in un universo a parte. Le ragazze nei giorni di festa non si vestono come le loro coetane, ma con abiti pre-guerra civile in simil Rossella O’Hara (e son magnifiche a vedersi). L’uomo è il capo indiscusso dentro la famiglia e fuori, la donna gli si deve sottomettere, come più volte ricorda mamma alle forse perplesse figliole, perché in quella resa troverà se stessa. Son tanti, i pargoli di casa Carlson, questo il nome della famiglia che Minervini pedina con la macchina da presa. Ma tra i molti rampolli una si conquista il centro della scena e i nostri sguardi, diventa protagonista del film. Sara, biondissima e con capelli raccolti a treccia e/o a crocchia, aura e profilo preraffaelliti, una creatura con un che di angelico e insieme di sassoso, terreno, cui tocca, nella divisione del lavoro all’interno del nucleo familiare, badare alle capre. Lo fa con encomiabile dedizione e perfino amore verso quelle creature. Impariamo man mano a conoscerla, e capiamo anche qualcosa di più di tutti i Carlson. I quali come vicini hanno un allevamento di bovini, con parecchi ragazzi bovari che ci lavorano, giovani maschi testosteronici che coltivano la disciplina texana par excellence, l’equivalente locale della corrida, il rodeo con i tori (assai praticato anche nell’altro film texano dell’anno, The Dallas Buyers Club). La massima aspirazione è diventare rider campioni, i meglio di tutti. Tra loro Colby, ragazzo di buon cuore che cerca come può, e superando le diffidenze e le ritrosie di lei e le ferree barriere poste dall’educazione religiosa, di avvicinarla, di attrarla nella propria sfera d’influenza. Forse è amore, è desiderio o qualcosa che gli somiglia, forse anche a Sara piace Colby. Forse. Assistiamo solo a prudenti avvicinamenti, a schermaglie che non sono nemmeno tali ancora, a timidissimi tentativi da parte di lui. Non si va oltre. Ma è tutto il film a non andare mai oltre, a non varcare certi invisibili, ma vincolanti confini. Pur girato con straordinaria aderenza al suo oggetto, alla sua materia, con un rispetto verso il clan dei Carlson che non rinuncia mai alla curiosità e alla voglia di indagare, capire, penetrare, Stop the Pounding Heart rimane come sospeso, incompiuto. Il limite di un film che ha momenti ad alta intensità, ed è benissimo girato, con un gran senso della narrazione, della costruzione del racconto. Solo che, come capita sempre più spesso con i documentari di nuova generazione, non si capisce più di quale oggetto filmico si tratti. Cinema che non è più pura registrazione del reale, non è più cinéma-vérité anche quando continua a proclamarsi tale, ma si contamina con lo storytelling, costruisce una trama, un intreccio. Che è quanto fa con cautela Minervini, non so quanto volontariamente, sbalzando fuori da tutto il materiale il personaggio di Sara, la storia di Sara. Solo che è una storia monca, indecisa, intuiamo che qualcosa potrebbe esserci tra lei e Colby, che un’evoluzione in lei potrebbe esserci, ma non ci viene detto. Stop the Pounding Heart tenta prudentissimamente un fictionalizzazione del reale rintracciando un percorso narrativo nella (presunta) oggettività fattuale, poi se ne pente e si ritrae. Il risultato è un film a tratti bellissimo ma ambiguo, sfuggente, non focalizzato, che ci lascia con troppe domande inevase. Stiamo a vedere come si evolverà il cinema di Minervini, io spero che si decida a fare il salto e ci provi davvero a raccontarci una storia, una storia vera non più in forma di documentario. Come del resto ha fatto il suo maestro dichiarato, Pasolini.
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