Mezzogiorno e mezzo di fuoco, Iris, ore 21,08.
Mel Brooks, vale a dire l’altra faccia dell’umorismo yiddish-metropolitano rispetto a quella diciamo così intellettual-nobile di Woody Allen. Brooks è volutamente popolare, anzi plebeo, e in lui si sentono ancora le storie e gli umori portati nelle città americane dagli esuli degli shetl centro-est europei. Questo, del 1974, è il suo terzo film, lui non ha ancora raggiunto il successo largo e racconta, e gira, con la naturalezza e l’immediatezza di un cantastorie, o di un entertainer. In Mezzogiorno e mezzo di fuoco stravolge, parodizza e piega a sé il western, immaginando una città del sud statunitense assediata dai fuorilegge dove urge uno sceriffo efficiente. Verrà nominato, tra la sorpresa e anche la costernazione dei probi quanto razzisti wasp, un afro-americano di lingua, più che di pistola, lesta, suo aiuto è un ubriacone (Gene Wilder, ovvio, l’attore feticcio di Brooks). Se non si fa troppo i tipini fini, ci si diverte ancora oggi.
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