Recensione. SAPORE DI TE dei Vanzina è una lezione di cinema. Ma di un cinema come ormai non si fa e non si usa più

1559563_289504301197599_1427145288_oSapore di te, un film di Carlo ed Enrico Vanzina, regia di Carlo Vanzina. Con Maurizio Mattioli, Martina Stella, Vincenzo Salemme, Giorgio Pasotti, Nancy Brilli, Serena Autieri, Eugenio Franceschini, Katy Saunders, Matteo Leoni, Virginia Marsan.

sul set

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Si resta ammirati dal mestiere e, ebbene sì, dalla grazia con cui i Vanzina Brothers imbastiscono questa commedia balneare che rifà dichiaratamente (e consapevolmente) il loro Sapore di mare. Solo che stavolta non siam più negli anni Sessanta, ma negli Ottanta del primo iperconsumo di massa, degli arricchiti veloci, dei politici furbi. Se la vertigine citazionista e autocitazionista rende affascinante Sapore di te, ne costituisce allo stesso tempo il limite, e ne fa un cinema irrimediabilmente chiuso in se stesso e datato. Voto 6 e mezzo.Schermata 2014-01-23 a 14.00.44Schermata 2014-01-23 a 14.01.09Puro meta-metacinema. Fa venire le vertigine e un po’ di mal di testa la girandola citazionista e autocitazionista innescata qui dai Vanzina Brothers. I quali, fin dal titolo, ci dicono esplicitamente di voler rifare l’operazione (clamorosamente riuscita) di Sapore di mare dei loro e dei nostri anni Ottanta, la quale a sua volta rifaceva i film da spiaggia degli anni Sessanta ambientandosi proprio in quel tempo. Adesso, stessa location di allora, Forte dei Marmi. Con una multistoria on the beach collocata proprio negli anni Ottanta quando i Vanzina ci giravano lì Sapore di mare. Di nuovo nostalgia, e nostalgia della nostalgia. Manca solo in Sapore di te, a rendere massimamente autoreferenziale il tutto e chiudere il loop, solo la troupe vanziniana che gira Sapore di mare (i due fratelli si son fermati solo un attimo prima dell’autocelebrazione, mostrandoci sì un set con troupe al lavoro, ma quello sporcaccione e nudo con un regista grosso con capellaccio un po’ somigliante, m’è parso, a Tinto Brass). A conferma che i Vanzina sono e son sempre stati pienamente autori assai consapevoli del proprio lavoro e dei meccanismi narrativi utilizzati, capaci però di occultare questa fitta, complessa trama di rimandi (rimandi adesso al proprio cinema, ai loro esordi al cinema bis italiano tutto e in particolare a quello del padre Steno) sotto una superficie, un’apparenza, un primo strato di commedia facile e subito godibile. È un incanto, e una lezione, il come i Vanzina riescano a distillare nei loro character disegnati senza una sbavatura, nella costruzione impeccabile, nel racconto essenzializzato senza mai una battuta di troppo e scene stirate, una tradizione mirabile di commedia italiana che risale perlomeno ai telefoni bianchi, passa per il neorealismo rosa anni Cinquanta, arriva alle opere sia grandi sia di serie dei Sessanta. È questa vertiginosa complessità strutturale – di voluti remake e clonazioni, di echi e duplicazioni, di rispecchiamenti continui – travestita di semplicità, leggerezza, immediatezza, a rendere così affascinante questo film, a staccarlo dai tanti post-cinepanettoni a una sola dimensione (magari anche riuscita, per carità) comparsi da un mese in qua in sala (provo a fare il riassunto, sperando di non dimenticare qualcosa e qualcuno: il Pieraccioni di Un fantastico via vai, il Brizzi di Indovina chi viene a Natale?, il Luca Miniero di Un boss in salotto, il Paolo Genovesi di Tutta colpa di Freud). Eppure, il bello di Sapore di te è anche il suo limite, la sua condanna. I Vanzina finiscono con il restare intrappolati inesorabilmente nel cerchio che loro stessi hanno tracciato, nella partita referenziale e autoreferenziale condotta pur con tanto mestiere e devozione. In questo cinema che si rifà e si guarda allo specchio, e resta implacabilmente all’interno di se stesso, ogni possibile realtà e ogni possibile riferimento al reale si indeboliscono fino all’evanescenza. Ogni possibile via di fuga è bloccata, impedita. Di fronte a Sapore di te e alla sua indubbia grazia (una grazia che non rimuove la volgarità, ma la include riscattandola) si ha la sensazione che tutto sia già visto, vissuto, sperimentato, e ormai sia decrepito, senile. Un cinema, un film, che assomiglia ai propri precedenti, ma quasi niente a quanto capita di vedere oggi in sala e a quanto succed là fuori. Ci si diverte, con la ronde messa in scena dai Vanzina Bros. Con i personaggi così ben delineati che baruffano, tradiscono, si tradiscono, sono autori e vittime di inganni e qui pro quo da piccolo pochade, a questo piccolo coro che dà vita a una irresistibile commedia umana-balneare anni Ottanta. Il ragazzo figo e l’amico sfigato (non si diceva ancora nerd). La bbona e bionda venuta dal nord europa emancipato, la ragazza che si strugge ma non è ricambiata e nemmeno notata. Però non solo i ragazzi e le ragazze alle prese con le iniziazioni amorose e i riti di passaggio fatti di sesso, alcol e moderati sballi. Anche i loro padri e le madri, i grandi insomma. La coppia di jeansaroli romani pronta a fare il gran salto in centro, l’onorevole (socialista, ovvio) con moglie e amante – e l’amante che si fa piazzare a Drive In -, la trentenne strafiga che punta al femminiere bello e lo fa capitolare. Più altri caratteri collaterali della gran giostra. Si sorride, si ride, si ammira il mestiere magnifico di Maurizio Mattioli che con il suo solo esserci ci dà una lezione su cosa sia stato il comico all’interno del cinema bis italiano. Ci si complimenta con Martina Stella, che, sì signori, mostra di saper recitare, oltre che di essere in possesso di un corpo da urlo. Però. Però quella sensazione di cinema irrimediabilmente vetusto resta. Se Sapore di mare parlando della nostalgia degli anni Sessanta in realtà ci parlava degli Ottanta in cui veniva girato, questo Sapore di te, mostrandoci uno ieri ormai remoto, lì resta confinata, e non ce la fa mai, neppure per un momento, a parlarci dell’oggi, di questa Italia, del qui e ora.

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