Recensione. BELLE & SEBASTIEN non ce la fa a ridare smalto a una vecchia serie tv di culto

21050814_2013101812471971Belle & Sébastien – La vera amicizia non ha bisogno di parole, un film di Nicolas Vanier. Con Félix Bossuet, Tchéky Karyo, Margaux Chatelier, Dimitri Storoge, Andreas Pietschmann, Mehdi.

Foto sul set con il regista Nicolas Vanier (a dx).

Foto sul set con il regista Nicolas Vanier (a dx).

Prima la serie tv francese, poi l’anime giapponese hanno fatto di Belle & Sébastien una delle più irresistibili storie per fanciulli. Ma questa nuova cineversione è troppo convenzionale per rilanciare il mito alpino del bambino e del suo cagnone bianco. Dopo i Pixar movies anche la narrazione per l’infanzia ha nuove regole, e una necessaria ipercomplessità. Che qui manca completamente. Voto 4 e mezzo.
Belle & SebastienConfesso: mai vista la serie tv francese Belle & Sébastien degli anni Sessanta, non mi pare che la Rai, allora signora unica del nostro schermo piccolo di casa, l’abbia mai trsmesso, e se sbaglio che qualcuno mi corregga. Quanto all’anime giapponese successivo, non ne ho la minima contezza, che ci volete fare, ero già parecchio grande e fuori bersaglio per i vari Rémy, Heidi, Lady Oscar e pure B&S. Figurarsi, io fino all’altro giorno pensavo che Belle & Sebastian fosse solo una rockband, mai avrei pensato che si fossero battezzati così in omaggio alla saga francese-alpina del cane+bambino inventata da Cécile Aubry. La quale, di tutta questa faccenda, mi sembra il lato più interessante. Dunque: Aubry nasce, pubblicamente parlando, come attrice, che poi un suo posto nel cinema se l’è conquistato come protagonista di Manon di Henri-Georges Clouzot, leone d’oro a Venezia nel 1949. La signora fa poi un salto a Hollywood, continuando comunque a lavorare in Francia. Fin quando sposa a metà anni ’50 “il figlio del pascià di Marrakech”, dicono le sue bio, che, qualunque cosa voglia dire pascià di Marrakech, la circonfonde di un’aura esotica, come se il cinema e la favola fossero entrati nella sua vita, in parallelo a quanto sarebbe successo di lì a poco pure a Grace Kelly, però con un touch Mille e una notte che all’algida bionda è mancato (e semmai la novela Aubry si apparenta più a quella di Rita Hayworth che va in sposa all’anche lui musulmano Aga Khan). Ha un figlio, si ritira dal cinema. Non paga di tante avventure esistenzali, Aubry si dedica alla letteratura per gli infanti e azzecca il bestseller Belle & Sébastien, che ridurrà per la tv, e sarà un successo esplosivo di quelli che segnano le menti di una generazione e anche più di fanciulli. Aggiungete che a interpretare la serie era il figlioletto suo avuto dal pascià, di nome Mehdi, il quale Mehdi torna in un ruolo collaterale, in partecipazione specialissima, anche in questa nuova versione per il cinema della saga inventata da mamma. Il cerchio si chiude, e per quanto mi riguarda è la traiettoria di vita e di professione di Cécile Aubry la cosa di gran lunga più rimarchevole. Perché questo film, diciamolo, non è un granché, limitandosi a una riedizione di B&S senza molte invenzioni, anzi pochissime proprio. Sébastien è un ragazzino quasi selvaggio allevato da quello che lui chiama zio, ma che in realtà è l’uomo che lo ha raccolto neonato, lassù in un aspro villaggio alpino tra Francia e Svizzera. Belle è un cane abbandonato e ridiventato selvatico cui in paese si attribuisce la responsabilità delle continue stragi di pecore, in realtà il cagnone (femmina) è innocente innocentissimo, e Sébastien lo capisce, diventa suo amico, lo salva dalla caccia scatenata contro di lui, anzi lei. I due diventano inseparabili, e saranno i risolutori ed eroi in una vicenda di partigiani che fan passare in Svizzera gli ebrei (siamo ai tempi dell’occupazione della Francia, o se volete della Francia collaborazionista di Vichy) e di nazisti determinati a catturare resistenti ed ebrei in fuga. Che a momenti sembra di rivedere la famiglia di Tutti insieme appassionatamente (un film che adoro) pure in fuga dai nazisti verso la Svizzera attraverso perigliose montagne. Il meglio del film sta nella sontuosità dei paesaggi alpini, che fanno una grandissima figura e si confermano al cinema le montagne più belle e sexy. Per il resto, la quantità di zucchero è decisamente troppo alta, il plot scorre meccanicamente su binari di assoluta prevedibilità e mai che si percepisca il minimo fremito o tentativo di innovare e attualizzare la materia. Ma come si fa, dopo la gran stagione Pixar e i suoi film complessi, multistrato, insieme per bambini e adulti, a proporre una narrazione così piatta e convenzionale? Certo, il cagnone è simpatico, ma mica basta. Comunque, buon successo in Francia (però non travolgente: finora siamo a 25 milioni di euro, un po’ sotto le attese), e adesso stiamo a vedere se il resto del mondo risponde, visto che questo è uno di quei filmoni popolari con cui il cinema francese dichiaratamente vuol sfidare su tutti i mercati quello americano. Val la pena notare come compaia uno dei rari nazisti buoni (cioè un nazista non-nazista) della storia del cinema.

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