Berlinale 2014. Recensione: l’argentino HISTORIA DEL MIEDO (Storia della paura) è il peggiore del concorso. Punto.

20142588_4Historia del miedo (Storia della paura – History of fear), un film di Benjamin Nashtat. Con Jonthan Da Rosa, César Bordon, Mara Bestelli, Claudia Cantero. Presentato in concorso.
20142588_1Una città a poco a poco precipita nel panico e nella paranoia. La gente collassa psichicamente, ha esplosioni di rabbia. Qualcosa li sta minaccando, ma cosa? E perché? Un film che ha l’ambizione di farai apologo di una crisi di civiltà e che pesca a piene mani da L’angelo sterminatore di Buñuel. Solo che Buñuel purtroppo non c’è. Voto 3.
20142588_3Bufala, senza se e senza ma. Irrimediabilmente. Che oggi, bisogna dire, è raro incontrare nel concorso di un festival importante delle ciofeche. Di film medi-mediocri ne trovi a mucchi, però francamente orribili quasi mai, c’è una soglia sotto cui non si scende. Con questo film argentino temo si sia scesi. Ambiziosissimo, fin dal titolo. Pretenzioso. Apologo in forma di distopia assai ravvicinata e prossima sul progressivo disfacimento del vivere civile. Così almeno m’è parso di capire, perché questa Storia della paura ha sì ambizioni, ma poche idee, e manco una intellegibile. Un elicottero sorvola una zona residenziale di una grande città si suppone latinoamericano avvertendo che entro una certa data le case dovranno essere evacuate. Perché? Ci sono gli alieni? Un virus? Gli zombie? Seguiamo un pugno di personaggi, dalla vita qualsiasi, e che pure in quella massima ordinarietà però man mano precipitano nella cupezza, nella rabbia, come se una minaccia incombesse e li facesse cortocircitare e andar fuori di testa. Vicini che bruciano spazzatura, bambini che spariscono, alterchi e urla tra gente altrimenti pacifica. Si diffonde la paranoia, ma perché? Verso chi? Il culmine narrativo è una cena in una casa borghese tra borghesi in cui, dopo un improvviso blackout comincia un viaggio nella notte che è una fuga verso non si sa cosa né dove. Ora, l’intenzione di render conto attraverso microritratti e quadri e singole molecole impazzite di una tela sociale che si disfa non era male. Come minicollassi che, sommandosi, portano alla catastrofe. Solo che si dovrebbe avere l’umiltà di costruire una storia e delle storie, mica fare gli autori fighi che nulla dicono e nulla spiegano perché spiegare è cheap e abbassa il livello dell’Opera. L’argentino Benjamin Nashtut non ha nemmeno il dono dell’ellissi e dell’allusione, dunque il suo film finisce con l’essere un flusso magmatico e informe di scene irrelate e sconnesse. Il pericolo venuto da chissà chi e da chissà dove che tiene in scacco, e intrappola, un’intera classe sociale (e un intero mondo) vien dritta dalla tradizione del realismo fantastico latino-americano e, cinematografcamente, è figlia di L’angelo sterminatore di Buñuel. Solo che qui Buñuel purtroppo non c’è.

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