Recensione. PROSSIMA FERMATA: FRUITVALE STATION, il caso (e il film) che ha scosso l’America. Morire per errore e pregiudizio

Prossima fermata: Fruitvale Station sarà nei cinema da giovedì 13 marzo. Ripubblico la recensione scritta dopo la proiezione di Fruitvale Station (questo il titolo originale) al Festival di Cannes 2013.fruitvale9FRUITVALEProssima fermata: Fruitvale Station, regia di Ryan Coogler. Con Michael B. Jordan, Octavia Spencer, Melonie Diaz, Ahna O’Reilly. Usa 2013. Presentato al Sundance Festival 2013, poi al Festival di Cannes 2013 a Un certain regard, dove ha vinto il Prix Avenir.F
Ricostruzione di un caso che qualche anno fa ha sconvolto l’America, l’uccisione da parte di un poliziotto nel metrò di Oakland di un ragazzo afro-americano di nome Oscar Grant. Il regista Ryan Coogler (26 anni!) ci mostra la sua ultima giornata e il suo progressivo avvicinarsi alla fine. Film di denuncia, ma nei modi del nuovo cinema iper realista e cinetico, che a Cannes a Un certain regard è piaciuto (ai non tantissimi che l’hanno visto) e s’è portato via un premio. Adesso è nelle sale americane, e la gente corre a vederlo. Potrebbe essere uno dei film dell’anno.Voto 6 e mezzoF
Fruitvale Station rischia di essere tra i film più premiati di questo 2013 e dell’anno che verrà. Due medaglie se le è portate via lo scorso gennaio al Sundance Festival (gran premio della giuria, premio del pubblico), un’altra a Cannes a Un certain regard (il premio Avvenire). E non è finita. Manca ancora parecchio alla fine dell’anno, e poi c’è la stagione dei grandi premi del 2014, Golden Globes, Oscar, ma pure gli Spirit Awards dedicati al cinema indipendente. E questo è un film indie, molto indie. Per il budget ridotto e l’autonomia dalle major, per come è girato, per la visione anche estetica e formale che lo pervade, per il conclamato impegno, per il volersi configurare come atto di denuncia chiaro e forte. Tratta difatti di un caso di cronaca nerissima che l’America non ha dimenticato: notte di Capodanno 2009, in una stazione del metrò a Oakland un ragazzo afroamericano di 22 anni di nome Oscar Grant viene ucciso dalla pallottola sparata da un poliziotto. Non c’era stato nessun scontro a fuoco, Oscar non aveva commesso alcun reato, era stato fermato e sospettato a prescindere, e trattato come un delinquente, solo per il fatto di essere black. Una morte assurda di cui molto si parlò e scrisse, e che Fruitvale Station (il luogo dove avvenne) ricostruisce, dandosi però una qualche libertà di fictionalizzazione, soprattutto, credo, nel restituirci la figura di Oscar, interpretato mravigliosamente da un inquieto, nevrotico, energetico, travolgente Michael B. Jordan. Uscito venerdì scorso in 7 sale americane (ma il numero salirà già dal prossimo fine settimana), e distribuito dal molto potente e molto capace e intuitivo Harvey Weinstein – uno che i successi li fiuta e anche li crea, vedi The Artist -, Fruitvale ha incassato molto bene, con la più alta media per sala – oltre 55mila dollari – di tutto il weekend. Numeri su cui pochi avrebbero scommesso e che stanno a dimostrare l’interesse degli americani per la storia raccontata, storia oltretutto che presenta molte consonanze con quella bruciante di Trayvon Martin, il diciassettenne afroamericano ucciso da un vigilante ispanico in Florida: vigilante che proprio in questi giorni è stato assolto, e ancora continuano le proteste contro la sentenza, e la notizia è sempre tra quelle di testa in tutte le news internazionali. Ecco, è possibile che anche l’ondata emotiva sul caso Trayvon abbia convogliato molta gente al cinema a vedersi Fruitvale Station e influito sulla sua fulminea partenza al box office.

il regista Ryan Coogler, 26 anni

il regista Ryan Coogler, 26 anni

Devo dire che a Cannes il film, se non è passato inosservato, non è stato nemmeno oggetto di una particolare attenzione, altri titoli hanno suscitato ben altro interesse dei festivalieri. Quanto a me, l’ho doverosamente visto (e non credo siamo stati molti gli italiani a farlo), ma non posso proprio dire di essere uscito dalla Salle Debussy entusiasta. Fruitvale Station è buono, a tratti molto buono, ma tuttosommato assai prevedibile, e, nonostante la nobiltà della sua denuncia o proprio per quello, è di quei film sottilmente ricattatori. Che ti fan sentire un cuoredipietra e un becero reazionario se solo ti azzardi non dico a non fartelo piacere, ma a muovere la minima critica, a eprimere un qualche dubbio, a avanzare la minima riserva. Film in cui i buoni e i cattivi sono separati da una linea spessa e invalicabile, e costringono lo spettatore a schierarsi, con tanto di direzione giusta (e obbligata) chiaramente segnata. Ecco, son film questi (e questo Fruitvale Station) che più reclamano la mia adesione e più rischiano di suscitare in me non dico il rigetto, ma un certo qual fastidio sì. E però devo dire che il regista Ryan Coogler (e gli sceneggiatori tutti) costruisce assai bene il racconto, ci mostra l’ultimo giorno di Oscar Grant prima del fattaccio di cui resterà vittima mescolando, alterando e alternando i piani temporali, spezzando la linearità narrativa, con flashback e flashforward, in una struttura devo dire piuttosto sofisticata. Si usa massicciamente la camera a mano o a spalla, con effetto shakerato delle immagine, ma questo ormai è un marchio di fabbrica di moltissimo cinema di nuova generazione, in tutto il mondo, e si ricorre pure al found footage (con le riprese al cellulare della scena fatale), altro feticcio dei nuovi cineasti. Vediamo Oscar in famiglia, con la volitiva girlfriend Sophina, decisa a costruire un futuro decente per sè, per Oscar, per la loro figlia Tatiana. Il fatto è che lui ha un passato di membro di una gang e di spacciatore, si è fatto la galera, ha promesso – più volte – a sè, alla sua ragazza, alla madre – di cambiare e poi non ce l’ha fatta. Anche qui, nelle sue ultime ore di vita, appare diviso tra l’aspirazione a darsi una vita decente, pulita, e i richiami del vecchio giro. Continua ad avere problemi sul lavoro, quella normalità che vorrebbe sembra sempre a portata di mano e sembra sempre sfuggirgli. Ma Oscar è anche un padre amorevole, sincero, ed è questa sua duplicità, questo oscillare tra il giusto e ciò che non lo è, a rendercelo interessante, così vibrante, e a sottrarre il film al rischio dell’agiografia, del martirologio, della santificazione del suo eroe-non eroe. Nella convulsione che è l’ultima giornata sua c’è anche la decisione, fatale, di andare con Sophina e altri amici a vedere i fuochi di fine anno sulla baia, e di andarci in metrò. Alla Fruitvale Station attendono alcuni poliziotti che lo scambiano per uno in procinto di delinquere, lo fermano, lo bloccano. Urla, proteste, parapiglia, casino, e un poliziotto dai nervi deboli fa partire la pallottola. Resta parecchio dopo aver visto Fruitvale Station: la doverosa memoria di Oscar Grant e della sua fine. L’interpretazione del protagonista. L’apparizione, memorabile, di Octavia Spencer, Oscar quale best supporting actress nel 2012 per The Help, che si incide nella nostra mente interpretando la madre di Oscar, una madre all’occorrenza dura fino all’implacabilità (la scena in carcere dal figlio è tostissima). Il regista Ryan Coogler ha 26 anni. Sì, avete capito bene, 26. C’è da rimaner basiti se pensiamo a chi siano e che età abbiano i nostri cosiddetti giovani registi. Eppure ci fu un tempo in questo paese in cui un ragazzo di nome Bernardo Bertolucci poteva realizzare il suo primo lungometraggio, La commare secca, a 21 anni. Era il 1962.

 

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