Noah, un film di Darren Aronofsky. In 3D. Con Russell Crowe, Jennifer Connelly, Ray Winstone, Emma Watson, Anthony Hopkins, Logan Lerman, Douglas Booth.
Un film che non somiglia a nessun biblico precedente. Affondato nel tempo del mito, in uno spazio pre- e post-apocalittico. Con parecchie aggiunte rispetto al racconto originale, e un Noè in preda a ossessioni, possessioni, trance, sogni, incubi, deliri, premonizioni. Un personaggio in linea con i tanti visionari della filmografia di Aronofsky. Si sfiora più volte il ridicolo (anche cadendoci dentro), si esagera con un messaggio ecologicamente correttissimo e insistente fino alla petulanza, e però Noah ha una potenza rara. Film autoriale e molto personale, nonostante il budget da 150 milioni di dollari. Voto 7+
Darren Aronofsky non è regista per anime sensibili e pudibonde, amanti delle opere esteticamente corrette e ammodo. Lui è un signore dell’eccesso, del furore, delle visioni, del delirio, sempre fuori misura e magari anche fuori controllo. Ri-vedere per credere il suo matto, mattissimo The Fountain che, presentato a Venezia qualche anno fa, fu demolito senza pietà. Poteva piacere questo suo Noah al critico medio (anzi unico) italiano? ai recensori del salottino buono? ai parvenu e alle parvenu della cultura da esibire come un gadget? Certo che no, e difatti son stroncature da ogni dove. Come ampiamente prevedibile. Che, giusto per bastiancontrarismo, vien voglia di adottarlo subito, questo film, e di volergli bene e di difenderlo dalle sciurette e dalle maestrine dalla penna acida sempre pronte a vetrioleggiare i fuori casta quanto a proteggere i presunti geni di casa nostra con recensioni compiacenti. Noah va fruito e goduto come uno spettacolo colossale e travolgente, nonostante (o per?) certe sue evidenti sgangherataggini, certi dialoghi pensosissimi e sentenziosissimi, un finale (con tanto di mamma orsa e piccolino, e con arcobaleno che dilaga a sette-colori-sette a schermo pieno) da metter mano alla pistola, e nonostante la fastidiosa, invadente, petulante morale ambientalista-ecologista. Un biblico che non è un peplum, ché son tutti vestiti di stracci e pelli, e armati di martelli e clave e coltellacci da cupo medioevo fantasy, da videogame gothic-dark, da survivor movie, e spesso immersi nel fango, nella pece, nella sozzeria che sta anche come metafora di quel che han combinato gli ingrati uomini del mondo donato loro dal Creatore (no, la parola Dio non viene mai detta). Sozzeria che andrà lavata col diluvio universale. Un film tratto dalla Bibbia come non avete mai visto, aveva detto Aronofsky nelle interviste promozionali. Promessa mantenuta. Con parecchie interpolazioni e aggiunte alla storia del patriarca così come raccontata nel Libro. Quei giganti di pietra detti i guardiani, prima ostili e poi alleati di Noah, insomma Noè, che la buttano anche troppo sul post-signore degli anelli. E poi, i drammi familiari, tra complesso di Edipo e complesso di Crono, che coinvolgono il buon (all’inizio) patriarca e i suoi tre figli più la figlia trovatella, in particolare Cam, il più ribelle e il meno allineato alla disciplina imposta dal padre padrone. Il quale, in un eccesso di fedeltà alla missione assegnatagli dal Creatore, si inoltrerà nella follia dura rischiando di distruggere se stesso, i suoi, l’umanità tutta. Che è, drammaturgicamente, la parte meno ovvia e più interessante di questa nuova narrativa intorno a uno degli episodi più famosi della Bibbia. Bibbia che viene nella sostanza rispettata – gli scostamenti non esendo tradimenti, mi pare – anche se la riscrittura non è piaciuta niente a molti paesi islamici (tra cui Indonesia, Malaysia, Emirati arabi uniti, l’Egitto invece ha detto sì) che han bandito il film dalle loro sale ritenendolo non fedele a quanto del diluvio vien detto nel Corano, il quale, si sa, riprende molti episodi biblici. Essendo Aronofosky uno che si prende serissimamente e abbastanza alieno dal dono dell’ironia e della leggerezza, il film tende al monumentale e al magniloquente, al grandioso, all’epico, e mai un attimo di leggerezza, neanche nelle scene più private, restituendo però alla storia di Noè e della sua arca un che di archetipico, di mitologico, scagliandola in una dimensione pre-storica o a-storica sospesa nello spazio-tempo. Nel tempo del mito. Operazione che riesce meravigliosamente, ridando vita e forza a una trama così raccontata da rischiare il rigetto da parte dello spettatore. Di Noah restano nella mente squarci potenti e smisurati, immagini che sembrano emergere dall’inconscio collettivo e non, visioni fantasmatiche, proiezioni febbricitanti. Il protagonista di questo film di Aronofsky è, come tanti suoi personaggi precedenti (Black Swan, Requiem per un sogno), continuamente in preda a sogni, incubi, premonizioni, possessioni quasi sciamaniche, alterazioni della mente. Quell’incubo dell’acqua che tutto sommerge e da cui lui e gli animali risalgono faticosamente a galla, il serpente dell’eden che ritorna ossessivamente. Momenti che non si dimenticano: il cielo oscurato dagli uccelli che annunciano l’imminente diluvio, la terra sommersa da enormi geyser che sputano acqua dappertutto, e l’arca, un cassone brutalista di design povero e spontaneo che nega e contraddice ogni precedente versione datane dal cinema. Nonostante il messaggio ecologista e animalista insistito fino all’insopportabilità (Noah è convinto che la sua missione sia di salvare non gli uomini, che hanno peccato e lordato il mondo dato dal Creatore, ma gli animali, rimasti innocenti come ai tempi dell’Eden), a essere trascurati in questo film son proprio gli animali. Chi si aspettasse una maestosa processione di elefanti, ippopotami, leoni, scimmie, coccodrilli e quant’altro verso l’arca salvatrice rimarrà deluso. Aronofsky non se ne occupa quasi. Le varie specie son tutte riprese da lontano e pressoché indistinguibili, e poi una volta nell’arca cadono addormentate e non si vedon praticamente più. Le chiacchiere ambientaliste son tante, e però il film si interessa soprattutto degli umani, e dei tormenti di Noah e di chi gli sta intorno, e del sempre complicato rapporto con il Creatore il quale si manifesta quando vuole e quasi mai quando gli umani invocano e reclamano un suo segno. Russell Crowe torna finalmente a interpretare, benissimo, un personaggio vero. Jennifer Connelly, dopo il tremendo Aloft visto alla Berlinale, ha qui un ruolo convenzionale cui riesce a infondere però una vibrazione nevrotica non così ovvia. La rivelazione è Logan Lerman, un Cam ribelle, rabbioso e vulnerabile.
CERCA UN FILM
ISCRIVITI AI POST VIA MAIL
-
-
ARTICOLI RECENTI
- Cannes 2023. Vince “Anatomia di una caduta” di Justine Triet (e tutti i film migliori entrano nel palmarès)
- Cannes 2023. Recensione: LES HERBES SÈCHES, un film di Nuri BiIge Ceylan. Il migliore del concorso
- Cannes 2023. LA MIA CLASSIFICA FINALE del concorso
- Cannes 2023. Recensione: LE FEUILLES MORTES, il Kaurismaki assoluto. Da Palma d’oro
- Cannes 2023. Recensione: LES FILLES D’OLFA di Kaouther Ben Hania. Una famiglia e la storia della Tunisia
Iscriviti al blog tramite email
2 risposte a Recensione: NOAH. Potente, epico, mitologico, visionario. E i più superano i meno