NYMPHOMANIAC vol. 2 (recensione): continuo a pensare che non sia un capolavoro, nonostante i molti momenti sublimi

Ensemble_photo_by_Casper_SejersenNymphomaniac 02 photo by Christian GeisnaesNymphomaniac volume 2 (versione tagliata), un film di Lars Von Trier. Con Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarskård, Jean-Marc Barr, Udo Kier, Shia LaBeouf, Jamie Bell, Stacy Martin, Willem Dafoe.
chapter_6_photo_by_zentropaDopo aver visto anche la seconda parte (tagliata), resto dell’idea che mi ero fatto alla Berlinale dopo aver visto la prima (integrale): film intermittente, dove si alternano momenti di altezze vertiginose a cadute abissali, e con parecchie zeppe qua e là. Frantumato in episodi che non costruiscono mai una narrazione, ma restano singole stazioni sconnesse della ascesa-discesa di Joe nel paradiso-inferno del sesso e degli istinti. Di molto buono c’è che Von Trier si astiene da ogni vulgata scema e politically correct su quanto sia bello e liberatorio scopare, preferendo indagare oscurità e ambiguità dell’eros. Peccato non riesca sempre a evitare, nella messinscena del sesso, il senso di finzione e inattendibilità. Però Jamie Bell come sacerdote della frusta è allarmante al punto giusto (e insieme ascetico e probo), Charlotte Gainsbourg aggiunge pathos e dolore vero, e il capitolo ultimo, l’ottavo, è fantasticamente melodrammatico. Voto 7
Nymphomaniac 23 photo by Christian Geisnaeschapter_8_photo_by_zentropaConfesso: comincio a non poterne più di Nymphomaniac. Più che del film in sé, dell’enorme dicorrererne e discuterne e battagliarne, anche fintamente, in un circo recensorio in cui vince chi le spara più grosse e forti. O demolendo con rabbia o, al contrario e all’opposto, esaltando ed elevando Lars Von Trier al soglio della santità, in una sorta di canonizzazione laica. Sicché il rischio è di perdere di vista, in tanto fracasso, in tanto rumore comunicazionale, il cine oggetto in questione e approcciarlo con sguardo offuscato e intriso di pregiudizi. Il guaio è che si arriva affaticati , se non stremati, alla visione di questo Nymphomaniac volume secondo versione cut (con tagli non effettuati, ma approvati da Von Trier, come si evince da statement messo in bella vista in apertura), dopo una campagna condotta aggressivamente dal marketing, e faccio un rapido riassunto: un anno di leaks abilmente lasciati fuoruscire dalla poduzione sulle porcaggini vere o presunte del film, con tanto di foto di Charlotte Gainsbourg tra i negroni e lei incaprettata in giochi s/m, e poi teaser (per ognuno degli otto episodi, centellinati come in una tortura orientale), trailer e così via, una campagna culminata nei famosi character posters con faccioni in orgasmo degli attori. Poi la decisione di farlo uscire in due parti, e ognuna in doppia versione, cut e uncut. Sicché diventan quattro i film che il povero spettatore deve andare a vedere. Ora, tutti esausti (io mi son visto a Berlino il primo volume integrale, poi a Milano il non integrale, poi due volte il volume secondo in versione cut), non ci resta che aspettare, sempre che ce ne resti la forza e la voglia, il volume secondo integrale con tante belle sporcaccionate e genitalate che qui si intuiscono appena. La scena dei cucchiai-vibratori ad esempio mi sembra abbondantemente accorciata. Alcuni siti americani avevano ipotizzato l’epifania del volume 2 con i crismi e l’editing di Lars Von Trier per il prossimo Cannes, imvece nada, a adesso i rumors dicono dicembre prossimo. Scongiuro il gran danese e il suo entourage di finire al più presto questo feuilleton che sta portando all’esasperazione anche i più fanatici supporter. Intanto, a film ormai uscito in tutto il mondo tranne il #2 integrale, si può già tentare un bilancio sull’accoglienza al box office. La cifra complessiva degli incassi worldwide secondo Mojo Box Office di Nympohomaniac vol. 1 è sui 10.300.000 dollari (di cui 726mila in America), francamente non molto, e a deludere son soprattutto i numeri Usa, tenendo conto anche di nomi coinvolti come quelli di Shia LaBeouf, Uma Thurman, Willem Dafoe. Da qualche parte è andato un po’ meglio (Francia, paesi dell’Est Europa), ma di masse formicolanti all’assalto dei cinema non se ne son viste. In Italia è andato così così, anzi più male che bene, e gli incassi del volume secondo si annunciano qui, come dappertutto, inferiori al primo. Credo si possa parlare di esito al di sotto delle aspettative e di quanto il gran circo mediatico lasciava presumere per un film di cazzi e fighe esibiti benché autorialmente benedetti e consacrati. Vero, a nessuno piace passare per sporcaccione voyeur, e questo può aver tenuto lontano il publico medio e bon ton dei circuiti arthouse cui Nymphomaniac è indirizzato, ma io credo che il film paghi la sua enorme mole promozionale, la sua elefantiaca, ingombrante presenza, il suo controllo militare su stampa e web e tv, finendo col creare un effetto boomerang e ingenerare nello spettatore una sorta di rigetto. Intanto, continuiamo a parlare qui e ora di questa parte seconda tagliata, anzi tagliatissima (confrontando i minutaggi comunicati delle due versioni, mancherebbe alla conta circa un’ora, ed è tanto). La visione del #2 non mi ha fatto cambiare l’idea che mi ero costruito con il primo, anzi me l’ha confermata: l’idea di un film smisurato ma senza compattezza, privo di un asse narrativo coerente, spesso infelice (e purtroppo le parti più infelici son spesso quelle di sesso esplicito), ma con accensioni e momenti e fasi all’altezza del migliore Von Trier, come il racconto del e sul padre, e in questa seconda parte, la Joe dilaniata tra doveri familiari e il richiamo di una istintualità selvaggia e insopprimibile. Sì, questa parte 2, pur configurandosi in perfetta continuità con la prima, è qua e là meglio, il senso di autenticità e il pathos sono a un livello più alto, soprattutto quando scende in campo (nel campo del sesso praticato) la dolente Charlotte Gainsbourg, con la sua intensità oscura e come sbilenca. Ma certe faglie, certe crepe continuano a correre lungo tutto il film e a impedirne la saldatura in un’opera omogenea e compatta. Nymphomaniac è un film apertamente dimostrativo, anche se è arduo decifrare che cosa poi voglia dimostrare. Film didascalico, che al suo – per quanto oscuro messaggio e senso – piega tutta la narrazione e lo stesso main character. Se ripercorriamo à rebours partendo dall’ultima scena tutto quanto abbiamo visto, ci rendiamo conto che la storia di Joe è quanto meno erratica, rapsodica, sghangherata anche, piena di buchi anzi abissi, incoerente, con passaggi bruschi e inspiegati. Joe non ce la fa mai a essere personaggio autonomo e complesso, è solo un manichino su cui appendere di volta in volta il catalogo dei comportamenti di estremismo sessuale e/o di ribellismo e/o bovarismo che ci vengono mostrati, in una sorta di trattato di psychopatalogia sexualis, o di viaggio all’interno e al fondo dell’eros femmminile (o, per meglio dire, di quello che un uomo come Von Trier pensa sia l’eros femminile). Il film accumula episodi su episodi, accosta e mostra in successione blocchi narrativi che restano monadi, e la rigida sua divisione in capitoli ne è la spia. Episodi in cui vediamo una stessa protagonista di nome Joe, prima ragazza poi donna, ma che potrebbero benissimo, senza troppe ripercussioni sulla narrazione, avere di volta in volta per protagoniste donne diverse, interpretate da attrici diversi. Sì, certi fili corrono dall’uno all’altro dei capitoli, il personaggio di Jerȏme per dire, ma non ce la fanno mai a costruire una solida trama, un qualsiasi sviluppo drammaturgico, lo stesso Jerȏme ha comportamenti incongrui. Come possiamo credere che il coattissimo garzone di autorimessa che svergina Joe si trasformi poi nell’azzimato manager di un’azienda? Quanto al, chiamiamolo, messaggio sotteso al film, Lars Von Trier qualcosa lascia trapelare attraverso il verbosissimo scambio tra Joe e il suo soccorritore Seligman nel quale si parla e straparla di tutto ( Seligman è peggio di Wikipedia, ogni cosi tu gli chieda, che si tratti di nodi o di iconografia bizantina o tradizione indù lui c’ha sempre la scheda pronta, la risposta da primo della classe, cosa che ogni tanto giustamente indispettisce la pestoccata Joe). Ecco, pur nell’oscuro e nell’eccesso sbalordente di parole un qualcosa si afferra. Innanzi tutto che Lars Von Trier è lontano, fortunatamente lontano, e ciò è bello ed ed uno dei segni più di Nymphomaniac, dalla appiattente visione che del sesso si è assestata in Occidente a partire dalla cosiddetta rivoluzione sessuali fino all’eros-consumo seriale di massa del giorno d’oggi. Vale a dire, sesso visto come energia positiva da liberare a ogni costo e a ogni prezzo per migliorare la qualità della vita, visione che sconfina e in parte si sovrappone con quella del sesso come terapia e medicina. Il nostro non la pensa proprio così, per lui, e tutto il film è lì a supportarlo, il sesso è forza primigenia e oscura che, se non va repressa e conculcata, può anche rivelarsi distruttiva e destabilizzante. Con l’orgasmo femminile equiparato a esperienza etrasensoriale (la scena della levitazione della giovane Joe), di fuoruscità dal sé, di confusione cosmica. Ma, anche, sesso come ludibrio e necessario sacrificio (e sembra di essere in Le onde del destino) quale esperienza tra il martirio e l’ascesi mistica, e quale via anche dolorosa per scoprire il sé autentico. Tutto, ma non proprio il sesso prêt-a-porter, glamourizzato e anodino che si è imposto in Occidente e che è la narrazione trionfante che ci vine riversata addosso ogni giorno. Onore a Lars Von Trier, che ha il coraggio di farci vedere tuta la luce e insieme tutta la darkitudine dell’esperienza erotica. Cosa che è, in my opinion, il tesoro che ci portiano a casa dopo aver visto (faticosamente) tutto Nymphomaniac 1 e 2. Il problema, semmai, è che la cerimonia del sesso che Von Trier ci mostra tanto puntigliosamente, non sempre ha il sapore del vero, anzi indulge verso la finzione e la smaccata messinscena. Con performance erotiche implausibili che hanno quella gelida perfezione da pornofilm di buon budget nei quali si scopa, si penetra, ci si fa penetrare in ogni orifizio, si lecca, si ingoia, si mena e ci si fa menare senza che mai una stilla di sudore percorra mai la perfezione dei corpi porcellanati, e senza che mai un umore qualsiasi righi e percorra e irrori e sporchi le zone genitali, e tutto è ripulito e come messo in ordine da un invisibile igienista della scopata. Per dire, la scena dei cucchiai infilati in vagina fa ridere da tanto che è improbabile, lo stesso la gran parte delle sedute sadomaso con il master, cui ahinoi non riusciamo a credere nemmeno per un momento, e se non fosse per Jamie Bell (strepitoso), che trasforma il suo picchiatore-terapeuta in una sorta di ascetico sacerdote del dolore, di officiante della lacerazione e del sangue, ci sarebbe da scappare. Certo che in questa seconda parte si sfiorano aree altamente minate come la pedofilia (e la scena della, chiamiamola, tortura a Jean-Marc Barr è tra le più autenticamente disturbanti di tutto il film), si perlustrano voragini e abissi, come nella relazione lesbo con la ragazina (che di sicuro non sarà minorenne e che però lo sembra), si oltraggia e demolisce il mito della maternità come naturale vocazione femminile (Joe preferisce farsi menare dal suo master con la frusta da lei stessa messa a punto con speciali nodi piuttosto che stare a casa con il bambino). L’ultima parte diventa finalmente melodramma, alzando parecchio la tamperatura di un film rimasto fino a quel momento sull’algido (qualche volta funzionando, questa scelta volutamente distanziante e frigida, qualche volta no). Ma non prendiamo troppo sul serio il Lars Von Trier quando, per l’interposta persona dell’enciclopedico Seligman, ci ammannisce dotte spieghe di ogni minimo fenomeno perché, se qualche volta ci azzecca, qualche altra va sullo spiccio e sull’approssimativo. Per esempio, la disquisizione sul polimorfismo perverso secondo Freud, citata per legittimare le cosiddette perversioni sessuali, non è esattamente quanto del fenomeno pensava e scriveva il fondatore della psicanalisi. E quelle risibili considerazioni sulla Chiesa d’Oriente che sarebbe più indirizzata verso la gioia e la dolcezza rispetto alla ‘mortifera’ e dolorosa Chiesa di Roma, da dove mai le avrà prese Von Trier? Caro Lars, mai viste certe cupezze della Chiesa d’Oriente? Mai entrato in una chiesa ortodossa? Mai sentito certi potenti quanto tetrissimi canti sacri cristiano-orientali della Passione?

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