Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve, un film di Felix Herngren. Con Robert Gustafsson, Iwar Wiklander, Mia Skäringer, David Wiberg, Jens Hultén. Tratto dall’omonimo romanzo di Jonas Jonasson, edito da Bompiani.
Tremendo. Le avventure presenti e passate di uno svedese scappato dall’ospizio nel giorno del suo centesimo compleanno. Un indigeribile miscuglione che frulla Forrest Gump, Zelig, lo splastick, il noir, il fantastico-delirante alla Fellini e altri elementi variamente impazziti. Per cavarsela con un film così bisogna averci una’idea, una visione di cinema, uno stile. Bisogna averci la mano per il grottesco e il surreale. Ma qui nessuno ce l’ha. Voto 3
Ci sono dei film che detesti, anche oltre ogni ragionevolezza. Ecco, Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve è uno di questi. Apparentemente non così orrendo (ammetto che in giro c’è di peggio), eppure con un qualchecosa dentro in grado di suscitarmi un rigetto, come una sostanza incompatibile con il mio organismo, o la mia psiche. Da un bestseller internazionale che non ho letto e che non ho nessuna voglia di leggere, ecco signore e signori la strana, incredibile, balzana (e al limite dell’irracontabile e forse dell’impresentabile) storia di un uomo svedese di nome Allam Karlsson il quale, nel giorno del suo centesimo compleanno, si eclissa dalla casa per anziani dov’è ricoverato semplicemente saltando dalla finestra (siamo al pianterreno, sennò il già altissimo tasso di inattendibilità di questo film si eleverebbe a quote insostenibili). Dopo di che si diparte un racconto improbabile e farraginoso tra presente e passato del suddeto centenario, tutto (mal) tenuto sul filo del paradosso, del grottesco e del surreale. Registri, si sa, alquanto difficili che van governati con tocco leggero e insieme ferreo, e che richiedono in chi li maneggia una certa qual predisposizione, se non una vera e propria vocazione. Predisposizione poi non così difusa sul mercato cinematografico. Difatti il regista di questo film ne è totalmente privo. Il risultato è un miscuglione indigeribile di commedia di anime candide alla Forrest Gump (e un po’ alla Zelig) e di action-noir, più scivolamenti nello slapstick alla Questo pazzo pazzo pazzo mondo, veterofilm anni ’60 che insospettabilmente continua a genrare rampolli illegittimi. Un pasticciaccio che solo a cercare di raccontarlo vengono le vertigini. Dunque, il signor Allan (troppo agile per i suoi cent’anni, e non basta il make-up a rendere credibile l’attore che lo interpreta, visibilmente molto molto molto più giovane) non solo si ritrova libero, dopo la sua non rocambolesca fuga dall’ospizio – svedese, lindo, con tutti i suoi bei comfort, ma sempre ospizio – ma pure con una borsa piena di soldi. Che poi son soldi che scottano, di provenienza criminale, e di cui alcuni mafiosi da operetta per quanto trucidissimi vogliono rientare in possesso a-ogni-costo. Parte la caccia al centenario, il quale però si ritrova alcuni amici e complici che finiranno col formare con lui una nuova stramba famiglia. Un vecchio casellante, un eterno studente, una farmer con tanto di elefante in giardino. Intanto si dipanano i ricordi del nostro. Una vita disgraziata cominciata in un istituto, la sterilizzazione forzata cui un medico macellaio l’ha sottoposto, poi avventure che l’han portato a contatto di alcuni monumenti del Novecento di destra e di sinistra, neri e rossi, Francisco Franco e Stalin, e poi il suo arruolamento nei progetti atomici americani, e altre bislaccche odissee di qua e di là della cortina di ferro. Con molti stupori infantiloidi del nostro schlemiel, come in una yiddish comedy, solo che qui purtroppo non c’è un Mel Brooks alla regia. Il goffo Felix Hengren di tanto in tanto la butta sulla comicità primaria da vetusta comica, ma sempre con grevità, e il film più procede e più affonda. Il peggio son le derive visionarie e surreali in cui si fellineggia malamente, penso all’elefante, presenza incongrua che dovrebbe ricordare il rinoceronte di E la nave va ed è solo un’ulteriore zeppa per una narrazione boccheggiante (e una messinscena che non sa dare un minimo di unità stilistica a tanti incongrui elementi, anche visuali). Per cavarsela con una storia così impossibile bisogna averci il senso del grottesco, bisogna avere un’idea, una visione di cinema, e qui nessuno ce l’ha.
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