UN INSOLITO NAUFRAGO NELL’INQUIETO MARE D’ORIENTE (recensione). Odissea di un maiale a Gaza: si dovrebbe ridere, ma da ridere c’è poco

19760252Un insolito naufrago nell’inquieto mare d’Oriente, un film di Sylvain Estibal. Con Sasson Gabay, Myriam Tekaïa, Baya Belal, Ulrich Tukur. (A questo link la lista dei cinema italiani che programmano il film)
19760253Uno dei titoli (italiani) più folli degli ultimi anni per un film che cerca di virare in comicità la complicata faccenda israelo-palestinese. Un pescatore di Gaza tira su con la rete un maiale, animale impuro sia per l’Islam che per l’ebraismo. Che fare? Che farne? Incomincia una storia grottesca che se all’inizio fa ridere, poi si perde. Un film che maneggia con incoscienza temi assai sensibili. Voto 4
19760244Domanda n. 1: perché questo film coprodotto da Francia, Belgio e Germania, e uscito in Francia nel settembre 2011, da noi arriva quasi tre anni dopo? Domanda n. 2: perché questo film che in versione originale si chiama semplicemente e efficacemente Il maiale di Gaza da noi ha preso uno dei titoli più lambiccati e astrusi degli ultimi vent’anni?
Ma passiamo oltre. In Le cochon de Gaza siamo dalle parti pochissimo frequentate della commedia che risolve in risata e pure sghignazzo delle faccende politiche e geopolitiche di pazzesca complessità, cercando di far diventare leggero il pesantissimo. L’esempio massimo, il modello inarrivabile, resta Essere o non essere? di Lubitsch dove l’occupazione nazi della Polonia e la minaccia dell’Olocausto vengono affrontati con l’arma della satira, che se ben maneggiata può essere più letale dei V2. Sylvain Estibal, regista di questo film, del Lubitsch-touch ahinoi non ha niente, e la butta, più che in commedia brillante, in farsa, e a momenti alquanto greve. Dice di essersi ispirato al film La vache et le prisonier, con un Fernandel prigioniero dei tedeschi che scappa in compagnia di una mucca fingendosi un contadino, solo che il terreno in cui ha deciso di muoversi è molto più scivoloso e accidentato. In Un insolito naufrago… la cornice signori è nientemeno che l’impossibile (finora, però mai dire mai) convivenza tra israeliani e palestinesi. Siamo a Gaza, a metà dello scorso decennio, quando Sharon non aveva ancora sloggiato i coloni israeliani e fatto ritirare l’esercito. Il palestinese Jafaar, di mestiere pescatore, un giorno fa una pesca grossa e strana, ritrovando impigliato nella rete un vispo maiale caduto in mare da chissà quale nave. Porco, dunque animale impuro sia per l’Islam che per l’ebraismo, per tutti gli abitanti della striscia di Gaza come per gli occupanti israeliani. Ora, capite che qui si maneggiano cose esplosive, i tabù alimentari tra halal e kasher, per l’Islam e per gli ebrei ortodossi, son cose serissime, e per riuscire in un’impresa satirica del genere bisogna saper bene dove mettere i piedi se no si salta su qualche mina e son dolori. Lui, il signor Estibal ci scherza eccome, pesantissimamente, confidando nel potere salvifico del comico, solo che si ha l’impressione che non si renda pienamente conto dell’azzardo. Lo spunto di partenza è certo brillante, più complicato è lo svolgimento. Che fare di un maiale a Gaza? che neanche lo si può toccare, figuriamoci mangiarlo. Lo aborrono i palestinesi come gli isareliani. Da qui si dipana l’avventura del povero Jaafar, che cerca di disfarsi della mala bestia con esiti grotteschi. Si mette poi in testa di venderlo ai coloni, avendo sentito dire che, per quanto ortodossissimi, in certi insediamenti israeliani sulla striscia si allevano porci per venderne la carne agli immigrati russi o all’estero. Solo che, siccome il suolo d’Israle non può essere contaminato dai maiali, li si cresce furbescamente su assi sollevate da terra, così il precetto è formalmente rispettato. Cosa che induce purtroppo gli autori a  cavar fuori una infelice battuta che se non è antisemita certo ci va pericolosamente vicino (cito a memoria): “Gli ebrei riescono a trasformare in affare anche quello che è un problema, mica come noi”. E già questo dà l’idea dell’incoscienza di Un insolito naufrago… Il quale almeno nella prima parte qualche momento comico lo azzecca, per quanto grossolano, salvo poi scadere inesorabilmente. Se ci si diverte all’idea che al maiale si debbano mettere le babbucce per non fargli toccare Israele allorquando lo si vende come stallone all’allevamento clandestino di una colona, cascano invece le braccia di fronte a trovatacce come lo sperma del porco ingurgitato da un soldato di Tsahal come energetico similViagra. Che poi, scusate, quale sarebbe il fine di tutta l’operazione? Farci ridere di palestinesi e israeliani, in una (fintissima) pari opportunità dello sghignazzo? Che con una bella risata passa tutto pure l’eterno conflitto Israele-Palestina, basta sforzarsi un attimino? Questo è un film che non si rende conto di quanto siano sensibili i temi che sta trattando, tant’è che a un certo punto si perde e per cavarsi di impiccio si inventa un tremendo finale da fucilazione immediata. Solo quando il povero Jaafar viene accusato di collaborazionismo con l’occupante per via dei suoi traffici spermatico-maialeschi con i coloni e rischia di finire ammazzato, si ha l’impressione che il film faccia finalmente i conti con la realtà. Ma è un attimo, poi si preferisce deviare, dimenticare, sopire e concludere con una cosaccia tra il felliniano e il peggior Kusturica. Mi piacerebbe sapere se Le cochon de Gaza sia mai uscito in un paese islamico. Scommetto di no. Scommetto anche che nemmeno una scena è stata girata a Gaza (difatti l’attore che interpreta il pescatore palestinese Jafaar è israeliano: lo si è visto qualche anno nell’assai arguto La banda). Ma ve la immaginate la storia di un porco filmata nella Gaza di Hamas?

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