Love Island (L’isola dell’amore), un film di Jasmila Zbanic. Con Ariane Labed, Ermin Bravo, Ada Condeescu, Franco Nero. Una coproduzione Germania, Svizzera, Croazia, Bosnia-Erzegovina. Sezione Piazza Grande.
Su un’isola-albergo in Croazia Liliane, francese, e il marito, bosniaco, passan le vacanze. Ma arriva una ragazza a complicare le cose, e sarà triangolo con lato lesbico. Commedia balneare tedesco-svizzero-croato-bosniaca che vorrebbe sdoganare il lesbismo a uso del pubblico popolare ed è solo di una volgarità inaudita. Voto 2
Trashissimo. Il film peggiore di questo Locarno 67, difficile che da qui alla fine si scenda più in basso. Pensare che la sua regista, la bosniaca Jasmila Žbanič, ha un passato di rispetto con perfino un Orso d’oro vinto alla Berlinale nel 2006 con Il segreto di Esma. Devono aver visto male i giurati, perché non credo che la signora sia così abissalmente peggiorata, i sintomi dovevano già esserci allora, forse non son stati individuati. L’isola dell’amore – e già il titolo – si presenta come una commedia vacanziera di amori estivi, però in stile teutonico-balcanica (combinazione micidiale), con quel gusto greve che a noi latini non si addice, la nostra volgarità essendo di tutt’altra pasta. Commedia messa su per sdoganare per il pubblico popolare europeo – o almeno del centro ed est Europa – l’omosessualità femminile e le nuove geometrie di coppia tendenti ormai al triangolo e anche al quadrangolare se è per questo. Fate conto, una specie di La vie d’Adèle de’ noantri, riproducendo in chiave bassa e berutalizzata certi passaggi del capolavoro di Kéchiche. Siamo in Croazia, su un’isola-albergo-villaggio vacanza chiamata isola dell’amore dai dépliant e dai turisti che vi sciamano. Tra la fauna soggiornante in regime all-inclusive anche una coppia di Sarajevo, lei, Liliane, architetta francese di giardini approdata in Bosnia per amore di un moraccione dal nome che non ricordo (Nazdev?) che mi pare musulmano (se sbaglio correggetemi), ex rockettaro ora agente musicale (ma di chi? di cosa?) e suo marito. Intorno ai due, ecco macchiettoni vari da vanziniano Sapore di mare però più international e aggiornati alla cafonaggine contemporanea, e assai più trucidi. Con un Franco Nero che piange il cuore a vedergli fare all’età sua l’eterno amante latino-italiano con laido codino. Una babele la cui lingua franca è l’inglese semlificato e globalizzato, il globish, e in globish parlan pure Liliane e marito, con l’aggiunta di qualche parola in bosniaco e in francese. Dimenticavo: lei è incinta, suppergiù all’ottavo mese. Poi un giorno non emerge dai flutti – letteralmente, visto che stava facendo diving – una fanciulla saporosa anche se di gamba non slanciatissima che butta là una strana occhiata a Liliane. Il marito bosniaco, macho com’è, sempre in costume ridottissimo per esaltare gli attributi (non manca neppure un’erezione sotto mutanda mostrata dall’impegnatissima regista in primo piano) penserà che la ragazzotta – che poi si rivelerà essere una cantante-attrice venuta dalla Germania – voglia venire a letto con lui. Invece macché, non ha capito, è tutta un’altra storia, lei e Liliane erano amiche anzi amanti quando se ne stavano a studiare a Berlino (dove se no?), e adesso il destino (già!) le ha fatte ritrovare. Segue una commediaccia di qui pro quo, con la mogliettina che cede al richiamo lesbico e si fa praticare un cunnilingus vigoroso dalla ex che fa tanto La vie d’Adèle-vorrei-ma-non-posso. Oltretutto l’attrice sembra la copia involgarita e rozza dell’Adèle Excharchopoulos del film di Kéchiche, e non penso che la cosa sia casuale. Non vi dico come la faccenda continui e soprattutto finisca. Dico solo che ci sarà il parto coram populo, e ogni contraddzione in seno al popolo e alla coppia verrà sanata in un alle zusammen molto teutonico e francamente indigesto. Sgangheratissimo. Con product placement e citazioni abbondanti dell’albergone che nenche nel più sfigato film messo su con qualche film commission. Si soffre nel vedere coinvolta in tale scempio una delle attrici più belle e fini del cinema europeo, la Ariane Labed di Alpis di Lanthimos e di Attenberg di Athina Rachel Tsangari, vista anche in Before Midnight di Linklater. Certo un film che è un’esprienza. Solo qui a Locarno capita di vedere una coproduzione tedesco-svizzero-croato-bosniaca come questa, chi mai avrà il coraggio di portarla in Italia?
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