
‘A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence’, il Leone d’oro di Venezia 71

Roy Andersson, il regista del film vincitore, sul red carpet
Incredibile, ha vinto il film più bello, e ai festival ogni tanto capita (quest’anno un po’ di più del solito, vedi anche Cannes con Winter Sleep). Trionfa A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence del defilato quanto geniale svedese Roy Andersson, un piccione che (consentitemi il facile calembour) è diventato un Leone. È la scelta migliore di un palmerès un po’ mattocco assai orientato sull’eccentrico e sul politico (e sull’umanistico, filosofico, poetico ecc., come c’ha tenuto a dire il presidente della giuria Alexandre Desplat). Parliamo subito del grande sconfitto, Birdman di Iñarritu che esce senza uno straccio di riconoscimento, e la cosa grida vendetta (ma il regista messicano si potrà rifare nella awards’ season americana). A uno dei favoriti, The Look of Silence di Joshua Oppenheimer, va il gran premio della giuria, e va benissimo così. In seconda posizione si è infilato, e nessuno prima del festival se lo sarebbe aspettato, il glorioso Andrej Konchalovskij con il suo The Postman’s White Nights, Leone d’argento per la migliore regia. Avrei preferito Iñarritu al suo posto, ma il film del gran russo (77 anni portati benone) è un incanto, anche se un filo sovrastimato dalla giuria. Si discuterà parecchio dei premi per il migliore attore e attrice, le Coppe Volpi, andati entrambi agli interpreti di Hungry Hearts di Saverio Costanzo, Alba Rohrwacher e Adam Driver. Tutti e due bravi, il film è il migliore tra quelli italiani in concorso, ma era proprio il caso di omaggiare uno e l’altra? All’annuncio in sala stampa è partita una bordata di fischi verso la Rohrwacher, non proprio amatissima evidentemente. I due premi più discutibili arrivano in coda. Bisognava proprio dare il premio speciale della giuria a Sivas, film turco sensazionalistico e volutamente barbaro con i suoi combattimenti di cani? (e anche qui fischi in sala stampa all’annuncio). Molte cose mi hanno urtato di Sivas, il premeditato tasso di violenza belluina, la sgangherataggine del racconto, ma devo ammettere che il talento del regista, per quanto sregolato, c’è e si vede. Un film furioso, ecco. Mettiamola così: il premio è una scommessa sul futuro del suo autore, stiamo a vedere cosa combinerà dopo Sivas. Discutibile, ma non scandaloso, il premio per la migliore sceneggiatura a Ghesseha (Tales) dell’iraniana Rakhshan Banietemad – accolto in sala stampa con perplessità -, che alterna sequenze straordinarie (come l’ultima in taxi) a cadute nel più prevedibile mélo e nel bozzettistico popolaresco. Il premio Marcello Mastroianni a un giovane attore e attrice va al ragazzino del francese Le dernier coup de marteau, Romain Paul, e cosa volete che si dica? Meglio lui, che è bravo e simpatico, del molesto ragazzino di Sivas. Il Leone del futuro – Premio Venezia Opera prima Luigi De Laurentiis è stato assegnato a una delle rivelazioni di questo Venezia Festival, l’indiano Court, di Chaitanya Tamhane. Che si è portato via anche il Premio come migliore film di Orizzonti. Un palmarès, quello del concorso, fortemente inclinato verso l’engagement e la denuncia (il genocidio in Indonesia di The Look of Silence, i molti problemi dell’Iran di oggi in Ghesseha, la dura lotta per la sopravvivenza nelle campagne dell’Anatolia in Sivas). E però non stiamo a discutere di dettagli, quel che conta è che il premio dei premi, il Leone, sia andato a un film formidabile. Roy Andersson nel suo speech di ringraziamento ha ricordato il grande cinema italiano e ha ricordato in particolare Ladri di biciclette di Vittorio De Sica, di cui s’è dichiarato debitore, e son cose che da italiani fa sempre piacere sentire. Il giurato Tim Roth ha preso la parola (non l’ha fatto nessun altro dei suoi colleghi) per sottolineare l’importanza di The Look of Silence, definendolo ‘a masterpiece’. Se ne deduce, dal suo tono appassionato, che avrebbe preferito come Leone il film di Joshua Oppenheimer, s’è intuito anche che il confronto in giuria sul vincitore dev’essere stato acceso. Oppenheimer, assente, ha mandato un lungo videomessaggio, spiegando di essere rimasto intrappolato all’aeroporto di Chicago in seguito a cancellazione del volo, e invitando l’Occidente a recitare il mea culpa per il sostegno dato a suo tempo al massacro in Indonesia rievocato dal film. Non c’era neanche Adam Driver, il quale probabilmente non si aspettava di prendersi la Coppa Volpi. Il cinema italiano? Ho scritto giorni fa che quello di Costanzo era il migliore tra i nostri film della competizione, e non sarò certo io a lamentarmi che la giuria l’abbia preferito a Martone e Munzi. Niente a Pasolini di Ferrara. Se è per questo, niente nemmeno a Fuochi nella pianura di Tsukamoto, che è straordinario. Meritava più lui di Konchalovskij e del suo ruffianissimo film.
Tutti i premi ufficiali ((copioincollo dal sito della Biennale Cinema)
3 risposte a Qui Venezia: il Leone d’oro va al Piccione di Roy Andersson. Giustamente