Fra le tue braccia, Rete Capri, ore 21,00.
Chi venera Lubitsch non se lo perda, anche se non è tra le sue cose maggiori e più famose. Però è l’ultimo film integralmente suo, anno 1946. La signora in ermellino, che uscirà postumo nel 1948, un anno dopo la sua morte, verrà infatti terminato da Otto Preminger. Massimo rispetto allora, e pure devozione. Quando l’ho visto m’è sembrato davvero terminale di certo cinema hollywoodiano, malinconicamente crepuscolare, con quella sua smaccata finzione, con gli interni e anche i (falsi) esterni tutti girati in studio secondo una modalità e una convenzione ormai non più praticabili. Lubitsch è questo, certo, era sempre stato questo, ma nel 1946 Fra le tue braccia è ormai un oggetto remoto e alieno in un cinema, anche americano, ormai voglioso di realismo, di una realtà credibile e non più sfacciatamente simulata. Anche gli elementi narrativi non si coagulano sempre al meglio, restano separati e a tratti incongrui. Manca la perfezione smagliante e ipnotizzante del Lubitsch più grande. Ma cosa importa, è sempre Lubitsch. In un’Inghilterra di cartapesta cui stentiamo a credere, una ragazza del popolo e un esule polacco si incontrano in una villa di campagna in cui l’una è domestica-cameriera, l’altro ospite. Entrambi intrusi, pur se in modi differenti. Si scontreranno con le durezze della rigida divisione in caste della società britannica e, inevitabilmente, soidarizzeranno e si innamoreranno. Lei, figlia di un idraulico, ha la passione di sistemare rubinetti e condutture malfunzionanti, il che sposta il film in certi momenti verso la farsa e/o la screwball comedy, generi non proprio lubitschiani. Con Charles Boyer, una giovane Jennifer Jones e un ancora più giovane Peter Lawford, futuro membro per matrimonio del clan Kennedy. Quel che resta oggi di Fra le tue braccia è l’attenzione al tema – cui l’israelita centroeuropeo Lubitsch non poteva non essere sensibile – della diversità sociale, dell’essere al di fuori e ai margini.
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