Intrigo internazionale di Alfred Hitchcock, Iris, ore 21,00.
Decade mirabile, gli anni Cinquanta del secolo scorso, per Alfred Hitchcock. Non solo realizza alcuni dei suoi capolavori massimi, da La finestra sul cortile a La donna che visse due volte, ma diventa un’icona popolare grazie alla serie tv Hitchcock presenta. In quella fase il gran signore del thriller riuscì anche a riscrivere e rifondare alcuni generi cinematografici, l’horror con film-capostipite come Psycho e Gli uccelli, e la spy-story con questo meraviglioso Intrigo internazionale (anno 1959), padre di tutti i futuri Bond e Bourne. Lo schema è quello dell’Everyman coinvolto malgré lui in avventure e intrighi che lo sovrastano, preda di ignoti nemici che lo vogliono morto e dunque costretto a tirare fuori gli artigli e il testosterone per sopravvivere. L’uomo qualunque stavolta si chiama Roger Thornhill, ed è interpretato da un Cary Grant elegante e impeccabile come al solito ma meno compassato e più dinamico del solito. Scambiato per un altro, si ritrova ad essere bersaglio di ignoti nemici per motivi altrettanto ignoti. Sa solo che per salvare la pelle deve scappare. Quante volte l’abbiamo vista, dopo Intrigo internazionale, una storia del genere? Il Johnny Depp di The Tourist viene da qui, lo stesso il protagonista di Headhunters, film norvegese presentato un paio di anni fa a Locarno ed esportato con gran successo in America. Naturalmente in Intrigo internazionale c’è la mano crudele e insieme felpata di Hitchcock, che con assoluto cinismo mette i suoi personaggi nelle situazioni più perigliose e perverse, trasformando i loro patimenti in spettacolo per sé e per noi spettatori. Cinema amorale il suo, che si dà come unica regola quella di garantire il godimento di chi guarda. Il Roger braccato di Intrigo internzionale è anche braccato dalla macchina da presa, e dai nostri sguardi. Hitchcock è qui, più che mai, sadico e voyeur, e ci rende suoi complici. Scene indimenticabili: quelle girate (ma per davvero) all’interno del palazzo di vetro dell’Onu, visto con occhio disincantato e perfino profetico quale crocevia di ogni complotto e trama oscura; l’impari, angoscioso duello tra il fuggitivo nel campo e l’aereo che lo insegue; la sequenza in treno con Eva Marie Saint, angelica e ambigua come ogni vera eroina hitchockiana. Anche questo spezzone ferroviario quante volte l’abbiamo visto successivamente replicato in altri film? Ancora in The Tourist, per esempio, o in Casino Royale con Daniel Craig-Bond (e il treno era narrativamente centrale già nel vecchio Bond di Dalla Russia con amore). Poi, ovvio, c’è il gran finale con l’inseguimento sulle faccione dei presidenti scolpite nella pietra del Monte Rushmore. Impossibile da dimenticare, con lui e lei che rischiano mille volte di cadere nel baratro e mille volte si salvano. Finale citato e rifatto dal detestabile Alex de la Iglesia nel suo Balada triste de trompeta, due premi a Venezia 2010.
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