Recensione: TUTTO MOLTO BELLO di e con Paolo Ruffini. Tutto meno peggio del previsto

10557146_598455710262766_8844442880173739982_oTutto molto bello, un film di Paolo Ruffini. Con Paolo Ruffini, Frank Matano, Gianluca Fubelli, Nina Senicar, Enrico Ghinazzi (Pupo), Chiara Francini.
10687231_598455460262791_4312248925384659095_oDopo il tremendo Fuga di cervelli, da questo secondo film di Ruffini regista mi aspettavo il peggio. Invece Tutto molto bello non è così male: una parabola grottesco-malinconica su quanto sia complicato dire addio alla giovinezza e fare gli adulti. Tasso di volgarità sotto controllo. Con una sequenza interessante (il party dei cloni). Peccato – ed è il vero limite del film – che il ritmo sia letargico. Il che potrebbe spiegare i deludenti incassi del primo weekend. Voto tra il 5 e il 6
10644481_598455966929407_8013886320413833552_oPaolo Ruffini passerà agli annali non per i suoi film, belli, brutti, memorabili o dimenticabili che siano, non per la lunga militanza cabarettoide su Mtv, ma, temo, per quel ‘lei è sempre una topa meravigliosa’ rivolto agli ultimi David di Donatello a un’allibita e quasi-ottantenne Sofia Loren. Così è la vita, ti sbatti per fare qualcosa di degno (ecco, insomma, stiamo parlando di Ruffini) e poi incappi in una maledettissima buccia di banana e sei fregato. Credo non basterà quest’opera seconda da regista di Paolo Ruffini dopo il bestiale, tremendissimo Fuga di cervelli – che pure ha incassato cinque milioni e mezzo, e non capisco come sia stato possibile – a far dimenticare al popolo italiano l’infortunio – no, non parliamo di oltraggio, in fondo era un complimento benché sgangherato – con Sofia. Eppure – lo dico sapendo di tirarmi addosso i commenti indignados di coloro per i quali Ruffini è il massimo del minimo, e dello spazzaturismo e del cinema antropologicamente inferiore – Tutto molto bello non è così male, una qualche buona idea ce l’ha, il suo tasso di volgarità è mantenuto al di sotto del livello di guardia. Un prodotto di una qualche ambizione, non privo di garbo, benché accuratamente dissimulato dietro al tono becero del nostro, che quel marchio di linguacciuto toscanaccio si è costruito. Il limite di TMB non sta nella rozzezza, come mi aspettavo dopo la mala esperienza di Fuga di cervelli, sta piuttosto nell’essere un film indeciso a tutto. Come spesso nel nostro cinema, si vuol essere urticanti, e poi si finisce col ricorrere a dosi massicce di edulcoranti e ammorbidenti. Si vuole aggredire e provocare, e poi si concilia conciliando anche gli opposti. Però questa storia di un giovane uomo che, di fronte all’imminente parto della ragazza che ha messo incinta senza quasi manco conoscerla, si inabissa e si eclissa in un viaggetto on the road insieme a due fuori di testa – un altro padre in attesa, un ruspante cantante rock senza pubblico – si lascia tuttosommato guardare, configurandosi come una parabola della fuga giovanottesca e bamboccionesca, del peterpanismo, dell’ansia di ritardare il più possibile l’addio giovinezza. Ruffini attore si ritaglia per sé il ruolo del più riflessivo e mite dei tre sulla strada, dell’uomo qualunque, medio e mediocre. Mentre agli altri due toccano le parti del pazzariello (Frank Matano) e del freak turpemente bonaccione (Gianluca Funini, in un macchiettone alla Verdone prima maniera). C’è perfino una sequenza interessaante, tra il grottesco, l’onirico e il surreale con un qualche velatissimo rimando a Fellini che tradisce le ambizioni di Ruffini. Mi riferisco al party notturno dei cloni dei personaggi da fumetto, un gran ballo sgangherato e allucinato di mascheroni-fantasma, una extravaganza che conferisce a Tutto molto bello un sapore differente e lo distanzia dalla media cinecommedia. Poi però tutto finisce in un alle zusammen assai italiano dove ogni contraddizioine e asperità si stempera e si concilia in un indistinto familistico. A indebolire inesorabilmente il film è il ritmo blandissimo e perfino letargico, uno sfilacciamento, un’estenuazione dovuti a quella comicità di parola così nostra, così italiana, una comicità che ha bisogno di tempi lunghissimi e volute e arabeschi verbali e biascicamenti per carburare e arrivare finalmente alla battuta, all’innesco della risata. Non siamo fatti, evidentemente, per i dialoghi ping-pong e le fulminanti punchlines di tante commedia americane. Passano le generazioni di comici, cambiano i film, ma si continua a sbadigliare.

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