Manges tes morts, un film di Jean-Charles Hue. Con Jason François, Mickael Dauber, Frédéric Dorkel. Torino 32 (Concorso).
Dentro una famiglia rom francese. Con un fratello grande appena uscito di galera e i due fratelli minori sospesi tra legalità e illegalità. Insieme progetteranno una rapina. La prima parte, fenomenologica e fattuale, quasi documentaristica, è notevolissima, ma nella seconda il film scivola incongruamente nel melodramma criminale. Resta comunque uno dei candidati alla vittoria. Voto 7
Fino a oggi – lunedì 24 novembre – son stati presentati in proiezione stampa 9 dei 15 film del concorso, e il bilancio è purtroppo asai deludente. Su 9 se ne salvano solo 3, pochi davvero. Lo svedese Gentlemen, l’inglese The Duke of Burgundy e questi Manges tes morts, francese. Peraltro non inedito, ma proveniente, come altri titolo di questo TFF32, dalla Quinzaine des Réalisateus di Cannes. Siamo in un campo rom in un qualche parte di Francia, in una miseria e un degrado che ahinoi non sembrano lontani da quelli descritti dalla peggiore e più faziosa propaganda lepenista. In questa comunità c’è chi sta ai margini della legge, e anche parecchio al si là là, e chi invece – sono i’cristiani’, i rinati in Cristo evangelici che han fatto proseliti anche tra i rom -, cerca di vivere una vita in linea con il proprio credo. Torna dalla galera dopo 15 anni fatti per l’omicidio di un poliziotto durante una rapina il fratello maggiore di tre. Lo accoglie la madre, lo accolgono il fratello di mezzo e il minore, detto gadjo, il bastardo, perché nato da una storia del padre (defunto) con una non zingara. È proprio lui, il piccolo, poco più che minorenne, a parlare di un camion carico di rame, una fortuna, parcheggiato per un paio di giorni nel deposito in cui lavoricchia. Subito al grande, all’ex galeotto, vien l’idea di rubarlo. E si passa subito al piano, alla fase opeativa, lui, i due fratelli e un cugino, già sposato e pure con bambina a carico ma voglioso di avventura. Seguiranno ovviamente imprevisti e casini. Film concitato di voci e corpi, con camera a mano a seguire freneticamente azioni e persone, in una imersione totale nella realtà che aspira, ancora una volta!, al cinéma-vérité e bordeggia il documentario. La prima parte, quasi un referto antropologico su un campo rom, su valori e disvalori di un gruppo ai margini, è esemplare e di gran lunga la cosa migliore. Con risvolti di parecchio interesse, come la rivendicazione orgogliosa del fratello maggiore delle proprie rapine, giustificate dallp stato di necessità della famiglia rimasta senza padre. “Io sono un ladro, non uno spacciatore!”, urla in una scena a sottolineare una sorta di sua pulizia morale e professionale. È però qui che il film, da tosto e fattuale e fenomenologico com’era stato fino a quel momento, comincia a scivolare nel melodramma criminale. Nella eroicizzazione del delinquente. Del fuorilegge romantico sulla scia dei vari Jean Gabin del Bandito della casbah e Alain Delon di Le Samouraï. Con un finale sorprendente e però incongruo. Un film anfibio, con una seconda parte che nega la prima, la migliore. Comunque Mange tes morts ha tante di quelle buone qualità da candidarsi, insieme a Gentlemen, alla vittoria di questo Torino 32.
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