Soul Kitchen, Rai 5, ore 21,22.
Adoro il cinema del turco-tedesco Fatih Akin e i suoi meravigliosi La sposa turca, Ai confini del paradiso e Crossing the Bridge. I primi due – melodrammi potenti e strazianti – ne hanno fatto l’unico, legittimo erede in terra tedesca di Fassbinder, Crossing the Bridge è invece un docu che esplora la musica contemporanea di Istanbul e diventato in questi ultimi anni un riferimento per molti altri autori: un paio di anni fa il giovane regista egiziano Ahmad Abdalla, prima della proiezione a Milano al Festival del cinema africano, d’Asia e America Latina del suo bellissimo Microphone sulla scena hip-hop di Alessandria, aveva dichiarato di aver avuto l’idea del film vedendo proprio Crossing the Bridge. Akin è già un maestro del cinema europeo, per questo mi ha deluso e mi fatto arrabbiare Soul Kitchen, il suo film presentato con gran successo a Venezia 2009 (dove ha vinto anche un premio), ruffiano, piacione, corrivo, costruito implacabilmente e perfino cinicamente e furbescamente per piacere a molti e incassare soldi al box office. Difatti è andato molto bene e credo sia a oggi il suo maggior successo commerciale. Intendiamoci, non è mica una colpa fare film che piacciono al pubblico, dipende da come lo si fa, ovvio. Stavolta Akin abbandona le passioni fiammeggianti e travolgenti e distruttive dei suoi mélo e si butta sulla commedia etnica, con risvolti anche da commediaccia sgangherata e sguaiata. Zinos è un ragazzo di Amburgo di famiglia greca che gestisce un ristorante di infimo ordine per gente che si accontenta di qualche piatto mal cucinato e di molta birra da trangugiare. Ha un fratello appena uscito di galera che gli sta sempre addosso con le sue richieste, una fidanzata tedesca-tedesca che fa la giornalista e parte per la Cina, e intanto si fa avanti pure un ex compagno di scuola sciacallo, uno speculatore che non vede l’ora di mettere le mani sul ristorante. Il povero Zinos tracolla e collassa ed è costretto a curarsi per un po’, così deve assumere un altri cuoco, che è un matto scatenato, un tipo intrattabile e con un’inquietante consuetudine con i coltelli più affilati, e che però è un genio della nuova cucina. Detto fatto, il ristorante si riscatta e diventa uno dei più fighi in città. Fatih Akin non si risparmia niente per piacere al pubblico, compresa la scena dell’assatanamento collettivo per via degli afrodisiaci abbondantemente messi nei piatti e nei beveroni, una delle cose più sordide e becere viste al cinema negli ultimi anni. Però ho troppo rispetto per Akin e il suo talento, ho troppo amato i suoi film precedenti per bocciarlo per questo scivolone (ed è anche il motivo per cui segnalo nonostante tutto Soul Kitchen in questa lista). L’ultimo film di Fatih Akin è purtroppo tremendo, quel The Cut che, presentato nel settembre 2014 alla Mostra di Venezia, si è rivelato il peggiore del concorso deludendo chi, come me, del regista turco-tedesco aveva adorato i primi film.
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