Io sono un autarchico, Rai Storia, ore 21,33. Così nacque (cinematograficamente) Nanni Moretti. Era il 1976 e lui con questo film in super8, però già di lungo metraggio, sfonda tra la gente che, culturalmente, conta. Allora detti opinion makers e leaders, oggi influencers. Adottato, benissimo recensito e trattato, e un passaparola che permette a Io sono un autarchico di starsene per mesi in cartellone al Filmstudio. È fatta, è davvero, senza retorica alcuna, nata una stella. Protagonista Moretti lui-même in vestitacci e capellonismi e baffi-barbe anni Settanta nel character del suo alter-ego Michele Apicella. Il quale vive proto-bamboccionescamente con papà dopo essere stato mollato dalla moglie, la quale, ovvio, s’è pure portata via il figlio. E tra lui e lei è tutto un rinfaccio molto Seventies tra istanze femministe, piccoli machismi in via di sgretolamento e bovarismi. Intanto il Michele A fa cose e vede gente, e recita in una compagnia teatrale off-off, anzi cantinara, in uno spettacolo che sarà un flop annunciato. Memorabile la partecipazione di Beniamino Placido quale critici teatrale, con la sua lingua così barocca e arrotondata da finissimo inetllettuale del Sud, e la sequenza in cui tramortisce il povero Apicella al telefono con le sue chiacchiere non la si dimentica (io, almeno, mai l’ho dimenticata). Un Moretti aurorale, ma con già stampigliato tutto quello che verrà e sarà nei decenni seguenti.
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