Berlinale 2015. Recensione: HISTOIRE DE JUDAS. Giuda (e Cristo) secondo il franco-algerino Rabah Ameur-Zaïmeche. Un Cristo islamicamente compatibile?

Histoire de Judas (Storia di Giuda), un film di Rabah Ameur-Zaïmeche. Con Nabil Djedouani, Mohamed Aroussi, Rabah Ameur-Zaïmeche, Marie Loustalot. Sezione Forum.201510663_1Predicazione, opere e fine di un Gesù molto (troppo?) umano in una Palestina sotto dominazione romana e percorsa da fremiti di rivolta. Tutto girato in desertici e poveristici paesaggi nordafricani, sviluppando ed estremizzando la lezione di Pasolini. Con un Giuda diverso da quello dei vangeli classici. Stilisticamente non così interessante e innovativo. Ma questo, attenzione, potrebbe essere il primo film su Cristo (e Giuda) islamicamente compatibile. Voto 6201510663_2Mi aspettavo molto da questo Storia di Giuda del francese di origini algerine Rabah Ameur-Zaïmeche, autore assai rispettato di cui avevo visto quattro anni fa a Locarno, in concorso, l’interessante anche se non sublime Les Chants de Mandrin. Invece, parziale delusione, anche se con parecchi e necessari distinguo. Ennesimo film sull’ultimo periodo della predicazione di Gesù e i giorni della sua passione. Ma non quella ri-visione e ri-lettura che sarebe stato lecito aspettarsi, sopratutto per – diciamola tutta – l’origine algerina dell’autore, immagino cresciuto nella cultura islamica. Sappiamo come Gesù sia nell’Islam figura rispettata, citato dal Corano e considerato uno dei profeti che hanno precedeuto l’ultimo e il definitivo, Muhammad. Ma ovviamente la visione che ne ha il cristianesimo, il Gesù figlio di Dio che si è fatto uomo per salvare il mondo, è per l’Islam pura blasfemia. Gesù è un uomo, solo un uomo, scelto dal Signore per diffondere profeticamente il vero. Niente di più, niente di meno. Di Giuda francamente non saprei, intendo, non saprei se per la tradizione musulmana abbia una qualche rilevanza, e di che tipo (chi sa mi illumini). Ho cercato disperatamente il pressbook nel materiale fornito dalla Berlinale, ma su Histoire de Judas – e le sue eventuali implicazioni in campo multireligioso – non c’è niente. Peccato. Pensare che tra i produttori c’è anche l’ex direttore del festival di Locarno, Olivier Père, in qualità suppongo di responsabile dei progetti cinematografici di Artè. Ecco, mi interesserebbe sapere se Storia di Giuda uscirà anche in Algeria e in altri paesi arabi, e nel caso presterei grande attenzione a come venisse accolto. Signori, di questi tempi son queste le cose che contano davvero, più che la qualità intrinsecamente filmica di un cineprodotto. Prodotti simili van giudicati soprattutto per ragioni extrafilimiche, per il loro possibile indotto e ricaduta social-culturale, anche se questo non piacerà ai testualisti puri (che sono una legione). Allora: non so se ci sia in Rabah Ameur-Zaïmeche una lettura dal punto di vista islamico di quel che vi si racconta, di sicuro è stato piallato via ogni elemento che possa rendere il Cristo da lui rappresentato non islamicamente compatibile. Nell’ultima, veloce e frugale cena Gesù non pronuncia il “mangiatene e bevetene tutti, questo è il corpo e il sangue di Cristo”, paole intollerabili per i musulmani. Anche la crocifissione, su cui se ricordo bene l’Islam fornisce una propria versione, non ci viene prudentemente mostrata. Giuda è assai distante da come ce lo hanno consegnato i quattro vangeli, è una specie di capo della sicurezza del gruppo che attornia il Rabbi Gesù, non lo vende per trenta denari, non lo tradisce (o almeno noi non lo vediamo), eppure dopo averlo saputo morto si dispera e gli chiede perdono. Perché? per non averlo saputo adeguatamente proteggere? Qualcuno qui a Berlino suggerisce che questa particolare angolazione del personaggio venga dritta dai Vangeli, ovviamente apocrifi, di Giuda, ma non ho avuto il tempo di veificare. Il background ebraico di Cristo è invece fortemente sottolineato, si inquadra pure, credo assai intenzionalmente, una grande menorah. Ecco, ma al di là di questo groviglio di contenuti  di allusioni e criptomessaggi, spesso contradittori, il film com’è? Il regista porta a estremo compimento la rilettura iconicgrafica del Vangelo incominciata al tempo suo da Pasolini con Il vangelo secondo Matteo e poi, ebbene sì, proseguita da Franco Zeffirelli con Gesù di Nazareth e in parte pure dalllo Scorsese di La tentazione di Cristo. Vale a dire immersione in un Mediterraneo assai arabizzante e mediorientale, di semideserti calcinati, pietre e palme e oasi, a ricreare fantasmaticamente la Palestina giudea di allora. Con forti immissioni di elementi, mi pare, della cultura beduina e berbera. Lo avevamo già visto. Ameur-Zaïmeche ribadisce quello che è ormai un genere consolidato con precisi codici, facendo muovere i suoi personaggi in ambienti poveri e di massima bellezza, in architetture spontanee e rovine gloriose, in una essenzialità tra Rossellini e lo Jancso di Roma rivuole Cesare. È un Cristo molto umano il suo, spazzato via dai poteri romani e dalla nomenclatura giudaica quale pericolo per la stabilità pubblica ed è una lettura politica per niente nuova, anzi. Operazione rispettabile, ma che non apre mai finestre su altre visioni e interpretazioni, il cui elemento davvero interessante resta la sua (presunta e tutta da verificare) islam-compatibilità. Questo sì che abbatterebbe qualche muro: un film su Cristo e Giuda proiettato nei cinema dell’area araba e musulmana.

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